Cerca nel blog

giovedì 28 ottobre 2010

belu cabelu.

Belli cabelli.

Ieri non sono riuscita a trovare un minuto di tempo, e soprattutto di buon umore, per scrivere nulla.
Tanto più che invece di leggere un buon libro mi sono guardata Porta a Porta. L’avessi mai fatto. È finita che mi è venuta una tale ansia che dopo il corpo per scaricare la tensione ha pensato bene di crollare sul divano. Quindi mi sono ritrovata con la tv accesa, alle due di notte, in una posizione misto tibetana-jean cojon. Praticamente per capire dovreste mettervi in ginocchio tipo preghiera, con il capo molto molto reclinato verso il petto, gobba in evidenza e poi buttarvi a tre quarti su un fianco faccia su divano.
Comunque oggi vi voglio parlare dell’ossessione di tutte le donne (e a volte uomini) che hanno i capelli ricci.

L’anticrespo.

Partendo dal fatto che quando guardo le foto della mia infanzia mi chiedo “ma poi che cazzarola sarà mai successo?”. I capelli erano sì ondulati. MA LUCIDI. Setosi. Corposi.
Poi a 14 anni ho iniziato con le tinte.
E a 16 con la piastra. Che all’epoca era un ferro da stiro rettangolare. Li allisciavo che alla fine sembravo una cinese. Avevo la frangetta. Non vi dico che roba. Sembrava una visiera di gomma. Dritta, tipo scivolo, che a guardarla era quasi tagliente.
E pensare che all’epoca ritenevo che i capelli fossero un accessorio, di quelli su cui sfogare la fantasia.
Tagli cortissimi dietro e lunghi davanti, tagli cortissimi davanti e lunghi dietro (effetto limahl, ve lo ricordate? Il cantante della canzone di punta del film Never ending story). Rossi, neri, neri e rossi, con frangia cortissima, a spazzola, e poi biondo platino, e meches, e poi tiraggio, e scaliamo, e perché no un ciuffo più chiaro, e la piastra e il gel e il campus alla mela verde…

La verità è che mia zia è rappresentante di prodotti estetici. Quindi mi ha sempre usata da cavia umana. Non che la cosa mi dispiacesse, dopotutto erano prodotti gratis. Ancora me lo ricordo come fosse ieri. Dovevo uscire con un tipo troppo carino che mi piaceva da tantissimo tempo…sai quelle robe che quando ti dice “allora venerdì una birra?” tu nel tuo immaginario già ti vedi nella casa del mulino bianco che sforni pagnottelle e ti baci lui in pattine con la gambetta alzata? Ecco. Più o meno così.
Ovviamente doccia, depilazione totale (tra poco anche delle ciglia e sopracciglia) maschera antitutto (anti comedoni – che già il termine mi fa paura – è un po’ come “International allert: la terra è nella traiettoria di un comedone, entro 11 anni saremo solo polvere” o anche “mi scalda un comedone prosciutto cotto e provola?” oppure “io non vengo bene in foto, sono poco comedogenico”) (dicevo, anti comedoni, anti rughe, anti capillari rotti da aria condizionata, anti acaro, anti cheloide, anti tarme, anti macchie da fumo, anti pelle unta, anti screpolo, anti gelo, anti peli ovunque, anti borse sotto gli occhi, anti labbra secche – cioè te la metti e diventi nina moric), anti look alla spagna e loredana bertè).
Poi scrab (violento e sotto doccia alternata calda fredda), sciampo e balsamo e dopo balsamo e goccine e olietto ai capelli.
Quel giorno arriva mia zia tutta arzilla. “ho un balsamo che pare sia fantastico. Te li lascia lisciiii lisciii morbidi e profumati”. Quale migliore occasione.
Impacco tutto mentre sotto la doccia mi appresto a scrostare i chicchi di sale dello scrub dove sul barattolo non dicono “evita di usarlo in presenza di peli e nelle parti delicate”. Ho un’irritazione che il fuoco di sant’antonio sembra un comedone, appunto.
Sciacquo con cura. Già in fase “spiccio sta matassa di nodi senza forma” inizio a capire che qualcosa non va. Li sento particolarmente papposi. Come ingrassati di grasso di foca.
Ma è di sicuro un’impressione visto che devo uscire tra solo 45 minuti.
Inizio la fonata (da fon) e il capello è lì, pesante. Che non si muove, non cresce.
Che paura. A metà asciugatura ho una sorta di casco compatto di capelli. Se scuoto la testa i capelli la accompagnano. Sembra che ce li ho disegnati.
Insisto con fon e mano. Le dita mi rimangono imbrigliate tra i capelli. Nuovi nodi, enormi. Inizia a montarmi una certa rabbia.
Dopo 45 minuti (meno male lui è appena in ritardo) sono vestita, truccata, intaccata, contenuta (nelle calze a diciottimila denari), ingioiellata etnica, profumata (poco perché a me il mignottone che ti passa accanto e ti lascia la scia mi fa vomito), e pronta con sorriso già provato allo specchio (sia frontale che di profilo – di profilo è fondamentale per quando sai che ti guarda da lontano ma tu fai finta di non vederlo e diventi una tacchinella cogli occhi a flap). SOLO CHE al posto dei capelli ho una montagna di lana merinos prima della tosatura.
I capelli non sono stoppa, perché la stoppa almeno è bionda e liscia, sono una nuvola crespa dura e al tempo stesso grassa di matassa di peli di merda.
Insomma una vera tragedia. Il barbone sotto casa mi fa una pippa, per intenderci.
Chiamo mia zia imbufalita. Lei ride.
Non ci siamo, penso. Proprio no. Che cazzo ti ridi che ora scendo e quello mi mette al guinzaglio invece di portarmi a cena. Sembro uno di quei cani scomposti, con chilate di pelo in testa. Sembrano i capelli di Mariangela la figlia di fantozzi ma estremamente più gonfi.
Anticrespo, aiutami tu.
Una volta ero ad un matrimonio. Presentarsi da single, ogni volta, era piuttosto imbarazzante. Quella volta invece ebbi la fortuna che un ragazzo carino, molto carino, anche lui single, mi propose di andare insieme. Era fuori città, al mare. Era luglio, prendemmo due stanze comunicanti in un piccolo hotel de charme. Era tutto così perfettamente bucolico.
Arrivammo dopo un viaggio pieno di chiacchere e risate e un pranzetto bordo lago, ci facemmo la doccia (separatamente, ovvio), ci vestimmo. Io mi acchittai a festa. Vestitino bianco con i fiori, tacco rosso, borsetta ton sur ton. Mi truccai e dulcis in fundo la sfoderai.
“Numme freghi” pensai. E gli andai giù di piastra pesante. Sudavo come un cavallo gravido. 30 gradi e la piastra e dopo 10 minuti mi dovetti struccare e ritruccare. Ero viola congestione.
Ma i capelli come quando ero bambina. Lisci lisci, setosi, profumati.
Mi ritruccai ed uscii dalla stanza con la massima naturalezza. Non avevo scritto in faccia “porco cavolo di un pero che cazzo di sudata co sti capelli di pupù che al primo gonfiore li meno”.
Salii in macchina e via coll’amico singol al matrimonio.
Ore 5. Un caldo da beduini. Io mi sentivo colare gocce di sudore da sotto le tette. terribile. Da allora mai un vestito con bretelline quando fa caldo.
Erano tutti sudati, in effetti. Sembravamo un gruppo di orribili sudati grassocci sotto la lente di ingrandimento puntata al sole.
Il capello orientale mi si appicicava dietro al collo, sulla fronte, sotto le ascelle. Cercavo di scostarlo. Perché il peggior nemico della piastra è il sudore. (ovviamente dopo la sera umida).
Arriviamo al ricevimento che ero a pezzi. Vedevo con la coda dell’occhio onde anomale partirmi da dietro il collo. Ma ero con lo splendido amico simpatico singol e comunque mi guardavano tutte. Quindi ero figa. (quando le altre donne ti squadrano o sei sconsy – quindi un totale cesso – o sei figa).
Mi siedo parlo, ammicco, faccio il sorriso frontale e profilo, fumo una sigaretta. Sono splendida e divertita. Poi arriva la Gioia. Alta un metro e uno, quinta di reggiseno (tetta di gomma), con le amichette al seguito. Mi saluta affabile. “ma cos’è che hai intorno alla testa?” io faccio per scostare una zanzara, un ramo, un sasso, un calabrone, una cacca di uccello, una pigna… lei “nooo, c’è come… una lanugine….” Io capisco al volo. I capellini nuovi. Poverini. Quelli che colpa ne hanno. Si sono ringalluzziti allo scendere della sera. L’umidità ha fatto il resto. “sei lanosa… “ io le guardo i capelli. Manco la modella di fructis sta meglio di lei. Capello liscio perfetto corposo dalla punta alla cute. “beh, tu hai i capelli perfetti, gioia, facile fare i commenti a noi umani” “ma noooo, dovresti usare il siero che uso io…guarda, vedi che a me l’alone non viene?” “ma perché cazzo parli nana di merda?” mi giro.
Cazzarola l’ho fatto.
Non ci posso credere. Lei è basita e io anche. Mi sa che dentro dentro sono una scaricatrice di porto. E’ la prima volta che mi capita. Non ho il coraggio di guardarla mentre il merinos che incornicia la mia testa sta facendo un party di ringraziamento ballando la lambada.
Che giustizia sia!
Anticrespo, aiutami tu.
Per non parlare della frangetta. Una volta me la taglio. Da sola. E poi parto per il campeggio. Beh, sprovveduta. La piastra è a presa elettrica. Risultato? Sembravo camilla la bambola col passaporto. Un cespuglio riccissimo piantato davanti alla fronte. Una cagata bestiale.
Neanche le bure anni 80 stavano ridotte come me.

Anticrespo. Aiutami tu.
L’altro ieri vado. Cheratina. Non sai quanto fa bene al capello. Lo nutre, diventa liscio e morbido e setoso.
180 euri col taglio.
Due ore di trattamento, tra riffe e raffe.
Mi lavano i capelli. Me li tagliano. Poi mi mettono in testa una roba che puzza di piedi camembert citrosodina e acqua ragia. 20 minuti. Mi sento come zed (quello di raffaella carrà con la testa di gomma bionda). Poi lavaggio. Poi fissaggio. Ora 20 minuti con una sostanza che puzza di kiwi marcio e vernice da barca.
Mi viene il dubbio “ma quindi questo non è un tiraggio, è un trattamento come dire…riposante lenitivo?” “beh, un po’ tiraggio è” il bastardo ritratta.
Alla fine di questa agonia ho i capelli di gomma. Me li asciuga.
Esco con un un maglione di lana pettinata in testa. Il merinos è domato, ma l’effetto alone ancora c’è, solo che adesso ho la testa a piramide. Sopra spaghetti cinesi, sotto crespi senza riccio a effetto damina con spalla scesa e capello di pupù come nei quadri nei musei.
Bella. No no, ma bella. Bella cazzata.
Anticrespo, cazzo. Mettite na mano sulla coscienza.
O sennò fai una cosa, va. Vaffanriccio.

Nessun commento:

Posta un commento

dimmi che ne pensi!