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giovedì 21 ottobre 2010

frammenti di zigulì

Oggi ho frammenti di zigulì da tirare fuori. alcuni pensieri come le bigbabol, i cristal ball, poochie, i giochi, le botte, le punizioni... quindi ....

L’amicizia
Non so voi,
ma da quand’ero bambina ho sempre dato molta importanza all’amicizia.
Ricordo già alle elementari. Andavo in una scuola pubblica nel centro di Roma, frequentata da bambini più o meno modesti. La mia insegnante (purtroppo ora passata a miglior vita) era molto brava e si concentrava moltissimo a stimolare sinergie tra bambini.
E proprio uno dei primi giorni mi mise al banco con una ragazzina (avevamo 6 anni, ma ci sentivamo ragazzine) con i capelli biondi, lunghissimi, con una treccia di quelle che finisce corpose. Per intenderci non come la mia ora che parte a saggina e finisce a filo di lana.
Si chiamava Elena.
Aveva pure gli occhi azzurri. Io all’epoca ero simpatica, molto simpatica, e poi ero buona, generosa, molto intelligente. Se vi è venuto il dubbio è corretto, non ero una di quelle bimbe che ti giri per strada. Innanzitutto sembravo un bambino. Capelli corti, ricci. Occhiali, e scarponcino ortopedico. Si, lo mettevo anche con la tuta, perché non è un caso che nel mio blog citi spesso il tutone. E’ uno dei miei migliori amici. Solo che quando ero bambina avevo la tuta. Ora il tutone.
Comunque. Io e lei, insieme, apparentemente eravamo male assortite. Invece dopo pochi minuti già era amore. Io ero bionda dentro, e lei era un maschiaccio mascherato da bambolina.
Iniziammo questa amicizia nella più piena complicità.
Nei giochi a squadre ci sceglievamo per prime, eravamo molto sveglie e riuscivamo persino a giocare a calcio con i maschi.
Tutto era fantastico. Ogni tanto veniva persino il pomeriggio a giocare a casa.
Siedevamo sul tappeto del salotto e ci concentravamo allo spasimo. Attendevamo che la magia prendesse forma. Si, credevamo ai tappeti volanti.
E non solo. Quando fui invitata in campagna da lei passammo ore a correre nel campo di fronte a casa. Con le braccia aperte, sempre in attesa della magia. Si, credevamo anche che si potesse imparare a volare, con disciplina e costanza.
Non successe.
Ricordo anche che a scuola la maestra diceva sempre che “non si fa la scianchetta”. Io non sapevo bene cos’era ma lo imparai presto. Avevo capito che in sostanza significava mettere il piede come ostacolo per far cadere qualcuno. Però non l’avevo mai provata a fare.
Un giorno mi decisi che dovevo provare. Ci pensai e ripensai. Alla fine mi toccò scegliere la vittima. Era difficile. Ma poi in un lampo tutto divenne chiaro. Come mai non ci avevo pensato prima? Se c’era qualcuno che mi avrebbe perdonato era proprio lei, Elena.
Così attesi il momento giusto. Elena correva come una saetta inseguita da Valerio. Era perfetto. Io ferma al banco, in piedi. Mi chinai un po’, tirai fuori la zampa con scarponcino ortopedico e fu un attimo. Elena inciampò, un volo incredibile. Non solo diede una ginocchiata colossale ma nell’inerzia di un corpo in volo prese in pieno la zampa del banco in fondo. Con la fronte.
Quanto pianse. Mi guardava rossa paonazza, piangendo come pazza e con il dito puntato su di me. Io rimasi impassibile, ero certa che lei avrebbe capito. Credo di aver vissuto proprio in quel momento quello che si chiama viltà. Sotto sotto mi prese il dubbio di aver sbagliato qualcosa. La sua reazione era troppo discostante dalle mie previsioni. Comunque feci assolutamente finta di niente. Da dietro i miei occhialoni guardavo come se fosse un film.
La portarono di corsa in infermeria. Tornò dopo un’ora ma non la potei guardare in faccia.
Primo per la vergogna, secondo perché ero in punizione dietro la lavagna, faccia al muro.
Quello fu solo l’inizio della fine.
Neanche il tempo di ritornare in confidenza entra la maestra della classe accanto. Fa un appello a metà. E in un batter d’occhio io e la mia amica del cuore ci ritroviamo divise. Lei cambiò sezione, così, senza preavviso.
Piangemmo abbracciate, fu straziante. Il tempo del perdono e quello dell’addio si fusero in un momento di tragica solennità. Ci promettemmo che ci saremmo viste sempre, a ricreazione. Fuori scuola.
Già dopo due giorni l’amore era come dimenticato. Io conobbi Anna, lei Claudia.
L’amicizia dei bambini è fantastica.

Minacce e punizioni
“lo sai che ora io ti faccio menare da mio fratello che è grande cooosìììì????” “….io ho un cane doberman che se ti prende ti uccide come uno squalo e poi ti ingoia e tu poi diventi tutte budella e cervello e caccole…..”
Nelle minacce dei bambini si nascondo tutti i tabù e i desideri di generazioni.

“se ti comporti male viene a prenderti l’uomo nero” brave mamme! E poi scopriamo che gli analisti guadagnano un botto di soldi! Ve la ricordate, c’è pure la canzoncina agghiacciante: an ghi go questo bimbo a chi lo do… se lo do alla befana …se lo tiene una settimana…se lo do all’uomo nero… se lo tiene un anno intero”.
A sto punto io ci aggiungerei un nuovo mito. Il signor Euclide. Che prima lo mena e poi lo uccide.
Non so.

Mi ricordo perfettamente le minacce. Ti chiudo in camera. Questa era in generale la mia preferita. Delle volte che ha preso forma ne ricordo due. Una volta ero forbici dotata. Grave, grave, grave errore. Fu un attimo che diventai parrucchiera. Feci taglio e messa in piega a tutte le bambole, alcuni pelouche, le barbie e me stessa. Mi tagliai i capelli come le centraliniste di star trek. Con la francia a finestre tonde, per intenderci. Quando mia madre entrò non aveva uno sguardo rassicurante. Io invece ero così fiera. Per farle capire che lavoro di fino avevo fatto mi ero anche dipinta le braccia di blu col pennarello (se vi ricordate le centraliniste di star trek avevano i capelli blu, e questo mi creava qualche difficoltà per cui le braccia blu era comunque un compromesso accettabile).
La prima volta però la combinai appena appena più grave. Mi lasciò in stanza circa due ore. Tirai fuori qualsiasi cosa da qualsiasi cassetto. Vestiti compresi. Mi provai tutto, giocai con tutto. Ma poi finii con l’annoiarmi. Due ore per un bambino sono eterne. Quindi decisi di passare alle cose proibite. E mi infilai nella narice destra una una di quelle perline giganti per fare le collane. Di plastica. Era rossa. La infilai proprio dentro. Se c’era una cosa che avevo inesistente, all’epoca, era il naso. Quando capii che il procedimento inverso all’infilare era molto molto molto molto più complicato decisi di non proseguire con l’altra narice.
Dopo circa mezzora avevo una certa irritazione.
Mia madre rientrò e trovo sua figlia con una mega narice infiammata grande come una cialda del nespresso.
Non voglio entrare nei dettagli di come fece a tirarla fuori.

La realtà bambina
E non solo. I bambini hanno una visione completamente diversa dagli adulti.
A scuola si sente puzza di numero 2.
La maestra gira per i banchi in cerca del bimbetto che non ce l’ha fatta e ha ceduto allo stimolo senza andare in bagno. Il ragazzino viene beccato.
“massimo, tesoro, perché non sei andato in bagno?”
“maè, ma se i gabbinetti so pe le donne io do la potevo fa, la popò?”

ancora. Avevamo il sillabario. In pratica una cartellina piena di taschine, ognuna delle quali riferibile ad una lettera e relativa figura. A con l’asinello, B con banana… etc.
“bambini per domani mettete almeno 10 lettere nelle taschine”
il giorno dopo
“danilo, ma non hai messo neanche una lettera nelle taschine?”
“tutte le ho messe”
“no, guarda qui” mostrando il sillabario vuoto.
“no, maestra io tutte qui, le ho messe” e dalle sue taschine dei jeans tira fuori una caterba di cartoncini.

Ma il top è un amico di vecchia data.
La purezza del bambino supera ogni limite.
Campeggio attrezzato con ettari di villeggianti. In Toscana.
Il bimbo, due anni, si allontana e si perde.
Inizia a piangere, girando come un disperato. Lo prendono e lo portano alla reception, dove con un impianto a filodiffusione trasmettono con gli altoparlanti, sparsi per il campeggio, l’annuncio.
“il bambino Marco si è perso, i genitori sono pregati di recarsi in reception”
“tesoro vuoi dire qualcosa?” il bimbo annuisce
“ciaaaao, sigh, io sono marcoooo, sigh, mi sono perso… sigh, E DEVO FARE LA CACCAAA!!!”
I genitori ancora ridono, e con loro tre quarti del campeggio.

Mangiare
“finisci di mangiare, pensa ai bambini poveri”
“mamma ma non possiamo spedirgli quello che avanza?” il bambino questo discorso non lo capirà mai. O voi genitori glielo spiegate in un altro modo o lui penserà che lo state prendendo in giro. Posto che per un cucciolo di uomo tutto è possibile non si spiegherà mai per quale motivo vi ostinate a farlo mangiare controvoglia quando si potrebbe tanto bene fare un pacchettino e inviare tutti gli avanzi ai bambini poverini. Il bimbo pensa subito “se io lascio e tanto ti dispiace per i bambini poveri magnatele te le cotolette fredde che si sono pure ammosciate e le verdure che mi fanno schifo da morire. Dammi due kinder, tu mangi tutto il resto, e magari se invece di farmi un piatto da bufalo spendi di meno e mi fai andare da mc donalds che con l’eppi mil ci prendo pure il pupazzetto.

Ricordo che quando ero piccola odiavo la carne. Mi faceva letteralmente schifo. Così incredibile ma vero la finivo in un boccone. E poi scattavano le punizioni (vedi sopra). Perché? Perché i bambini sono furbi. Ma non abbastanza. Il piatto vuoto, e il pavimento pieno.
Buttavo tutto per terra, pezzetto pezzetto. Se mi diceva culo quando ero ospite c’era un cane. Sennò masticavo a bolo e poi in tasca.

Poi avevo il brutto vizio di assaggiare. Tutto. Così prendevo un biscotto, gli davo un morsetto, e lo rimettevo nella scatola. Prendevo una mela, gli davo un morsetto, e la rimettevo nella fruttiera, prendevo una caramella, gli davo un morsetto e poi la rincartavo. Prendevo un cioccolatino, gli davo un morsetto, e lo rimettevo nella scatola.
E così via. Qualsiasi cosa fosse commestibile a casa mia aveva “il morsetto”. Poi venne mia cugina ospite. Mi chiese un biscotto, e le capitò quello col morsetto. Mi chiese una mela, idem, mi chiese un cioccolatino, e poi una caramella… a quel punto decise che doveva insegnarmi a non farlo più. Ho ancora i segni. Mi si avventò sulla ciccia vicino all’ascella. Licantropa del cazzo.

Su mia cugina però mi rifeci.
Il gelato ce lo compravano insieme. Cornetto io cornetto lei (poi mica era come ora, con mille scelte). Solo che io in circa 5 minuti avevo finito, culetto compreso. Lei invece era lì che ancora sleccazzava la corona di nocciole e cioccolato. E con il suo gelato in mano, pressoché intatto, mi guardava della serie “tu hai già finito??? Io nooooo, mmmmhhhh, che buonooooo” e poi mi diceva la frase stronza: “te lo farei assaggiare, ma tanto già lo sai di che sa, perché hai appena finito il tuo!”. Quindi dopo un’estate fatta di 4 mesi, ogni giorno un gelato, fatevi i conti.
Verso i primi di settembre tornammo a casa lei urlando io muta. Ho fatto una mossa da karateca. Azzannata laterale sinistra e scippo sulla mano destra con gelato, doppio morso braccio sinistro e subito dopo corona di cioccolato e nocciole del cornetto e poi riposizionamento del tutto con gelato in mano. E poi fuga.
Che gusto. Fu lì che iniziai a capire la legge della violenza.

La moda
Il concetto di moda e trends varia moltissimo a seconda dell’età.
Un aneddoto su tutti. Quello che a pensarci mi sento male. Dicembre, poco prima di natale.
Mia madre purtroppo non era una divina. Non era Casalinga. Lavorava. Quindi chiese alla filippina di allora di lavarmi, vestirmi e portarmi da lei in ufficio. Dovevo andare dal pediatra.
E così fece. Mi presentai al negozio tutta linda e pulita. Cappottino blu, camicia bianca, maglioncino rosso, kilt rosso(all’epoca andavano, mica è colpa mia) e calzettoni. Ancora me la ricordo che sbianca. Mi guarda, si gira verso quella poraccia emigrata e se la magna. Lei piagnucola qualcosa tipo: “…no signoa, io tanto provato…ma bambina no boleba, no boleba propio…tanti tanti caprici… lei deto che tu metti queste, signora, che ba bene…”

Ai piedi avevo pensato che fossero perfette, per una visita formale dal dottore, un paio di espadrillas di pezza gialle con zeppa, regalo di nonna per l’estate, con i lacci rigorosamente avvolti dal piede al ginocchio.

Lo pensai. “questi adulti di moda non capiscono proprio una mazza”


a presto!

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