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martedì 5 aprile 2011

campanacci e altri espedienti

Una delle mie amichette ha scritto che il mio ultimo post le ha fatto pensare alla storia del campanaccio. e ho deciso di raccontarla, ma la voglio inquadrare in qualcosa di più organico.
Si tratta di cose importanti, che ti segnano per la vita. cosa succede quando hai due genitori più o meno illuminati che vivono in posti diversi e tu sei particolarmente buona.
ovviamente è importante tenere a mente i personaggi.
Il padre: brillante, sempre in fuga dalla famiglia di origine e forse poi pure un pò da quella che si era creata, eclettico, mai stanco, cosmopolita e ridondante di idee.
La madre: bella, bambaciona (termine romano per dire bonacciona), non troppo curiosa, indefessa lavoratrice e godereccia.
La figlia (cioè io): occhiali, naso inesistente, capelli ricci, vociona, stivaletti ortopedici, chiaccherona all'inverosimile, mai un capriccio. quasi finta.
ecco questo il quadro.
Quindi se lui vive a milano e lei a roma, come fanno entrambi a vedere la bimba? E' semplice. La bimba si sposta. così a 2 anni presi il mio primo volo da minore non accompagnata. fu esattamente come me lo descrissero prima di partire. Amore, ora la signorina ti porta sull'aereo, giocate insieme e poi a Milano c'è papà che ti aspetta.
In effetti tutto combaciava, solo che non mi avevano detto:
del cartello a righe rosse e bianche che ti attaccano al collo con dentro il biglietto, il documento di identità, e il tuo nome, cognome etc. Che ti senti una raccomandata vivente. che non puoi prendere l'autobus con gli altri ma la macchina da sola, e che quella macchina delle volte è bruttissima.
e poi i regali dell'alitalia piano piano li avevo accumulati, tanto che i nonni mi dicevano "amore poi quando vai da papà prendi il mazzo di carte che così completiamo i 4 mazzi per la canasta".
La cabina di pilotaggio? visitata e lì per lì mi entusiasmavo pure. dopo i 7 anni però sbuffavo e non mi alzavo neanche. il bello era che stavo quasi sempre in prima fila. e quindi di vips ne ho conosciuti tanti. ora non che sia proprio un onore, ma mi sono fatta una bella chiacchera con bettino, una volta. avevo 5 anni. craxi con l'occhiale rosso. mangiando smarties e parlando di montature di occhiali quei 55 minuti sono volati. L'equipaggio mi riconsegnò a papà ancora ridendo.
poi la cosa diventò più impegnativa.
per raggiungere il genitore eclettico 55 minuti non bastavano più. ce ne vollero 13, di ore. Ammerica. Mostardddda. e dunque a 11 anni mi sparai il primo volo internazionale in solitaria.
Ricordo che feci amicizia con un ragazzino molto carino. ma la madre non volle assolutamente lo scambio dei numeri di telefono. io sapevo che era perchè viaggiavo da sola. ma pensai solo che quella povera donna non stava facendo per niente bene il suo lavoro di genitrice.
fare le cose autonomamente aveva dei pregi, per cui ad esempio il senso di colpa dei genitori li portava a sganciare molto molto di più. nel caso specifico per le 13 ore di volo mi beccai un paio di superga nuove di pacca con i lacci enormi verde smeraldo.
e poi ancora. la vasca a casa di papà non la usavo. per farmi il bagno mi infilava nel lavandino. e poi mi asciugava per terra facendomi rotolare tra mille asciugamani. era tutto divertente. e mi insegnava a mettere la canottiera ben dentro le mutande. poi mamma a casa smontava tutto dicendo che le femmine non lo fanno. la canottiera nelle mutande è roba da maschi.
e poi andavo anche al cinema con l'autista di papà. nel pomeriggio. si perchè io mi annoiavo, e lui lavorava, quindi quel povero ragazzo (e povera me che non sapevo mai cosa dire) mi scarrozzava e alla fine ogni giorno andavamo al cinema.
le cene anche non erano male. quando ancora era a milano mi svuotava la rosetta e la riempiva di salsa di pomodoro e mozzarella. un'esplosione di sugo ovunque, a 4000 gradi. ma che porcata fantastica.
una volta mi diede i soldi per pagare il maestro di sci. si perchè noi abitavamo di fronte alle piste, in montagna. Potevo andare da sola e tornare da sola. avevo circa 6 anni.
così mi disse "mi raccomando, appena lo vedi dagli i soldi che ti ho messo nella taschina della giacca, che sono per lo skypass". Io uscii fiera di questo compito importante. Poi non mi chiedete. a 6 anni ci sono cose inspiegabili per cui a metà discesa notai che i soldini erano belli e spariti. mi prese il panico. ma ebbi un'idea geniale. Così la giornata passò. tornai a casa, come sempre. un pizzichino più infreddolita.
alle cinque però passò il maestro di sci, amico di mio padre. "passavo per vedere come va. tina oggi non è venuta". si girarono verso di me. io mi sentii un attimino nei guai. e seri.
"scusa ma dove sei stata dalle 8 alle due di pomeriggio?" "papà, è che non so come mai ma i soldini erano spariti" "ma dove sei stata?" "lì, seduta". la mia idea geniale fu quella di stare seduta, esattamente dove scoprii di non avere più i soldi, fino a quando dall'alto non fossero arrivate le classi, a fine giornata. avrei risparmiato parole, fatica a scendere e risalire. e comunque non avrei avuto i soldi per lo skypass.
non mi successe nulla. si arrabbiò ma credo che la paura prese il sopravvento.
e le estati in moto, da trial. sempre in montagna. dai topo, andiamo. salta su. papà, non ci riesco! sei sicuro che possiamo andare così? ma certo. tu tieni la bocca chiusa che sennò mangi le mosche, e la gamba dritta mettila così. ok. e così ci facevamo le scampagnate su per le montagne, per tratti scoscesi. il mio papino in jeans e maglietta, e io con i bermudini e il gesso alla gamba destra, dritta e bianca, dall'inguine alla caviglia.
sempre d'estate in motoscafo... che ricordi fantastici. ci piaceva andare veloci, ma io ero leggera quindi eravamo d'accordo. lui avrebbe accelerato ma io mi sarei legata al sedile con una cima. e così facemmo.
poi un giorno, avrò avuto circa 4-5 anni, andammo al mare, a sabaudia, a trovare degli amici.
Io e papà insieme eravamo una forza. montammo la tenda proprio sulla spiaggia, di fronte a casa loro. era bellissimo. il bagno al tramonto, il gelato, la cena. e poi scese la sera. mi misi in pigiamino, sistemammo i sacchi a pelo. eravamo d'accordo. Avrei suonato solo in caso di bisogno, e forte forte. Si, perchè lui avrebbe proseguito la serata con gli amici, io invece ero piccola e dovevo dormire. Così mi appisolai, nella tenda, stringendo forte l'unica cosa che avevo per chiamare papà: un campanaccio da vacca valdostana, enorme, che alla fine fui costretta a suonare.
Lui arrivò subito dopo. "papà, scusa sai, ma devo fare la cacca".

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