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martedì 28 giugno 2011

Vamosalaplaia

Siamo stati tutto un inverno ad aspettare questo momento.

Io che sono notoriamente freddolosissima mi sono accorta che stava arrivando l’estate quando al ristorante, con il viso un po’ rosso e in preda a vampate, mi sono resa conto di essere l’unica tra tutti gli avventori ad avere jeans, stivali maglietta a maniche lunghe e poncho di lana. Gli altri erano in tshirt.

Mi sono accorta che l’estate stava arrivando quando ho sognato di stare in un forno crematorio, e invece stavo soffocando nel mio sudore sotto al piumone invernale, una settimana fa.

Ma oggi è stato ancora più lampante. Ero in puledra, sfrecciavo felice con la musichina nelle orecchie (si perché forse non ve ne siete accorti ma il blecberri nuovo ha anche una simil funzione aipod che io stimo tantissimo) e canticchiavo super trouper degli ABBA e varie di Pavarotti che di solito canto a squarciagola…e sentivo molto caldo. Molto caldo. Caldissimo. Eppure stamattina mi sono persino lavata. E poi invece di mettere la maglia a maniche lunghe ho deciso di girare in canottiera (almeno fino all’entrata dell’azienda).

E poi ho pensato che piovesse. In realtà stavo sudando. Mi sudava tutto. La faccia le braccia i piedi e il sedere. Le ascelle non ve lo dico.

Quindi mi sono messa nella triste condizione della burina in motorino: pantaloni appena tirati su, panza scoperta e soprattutto braccia allargate. Per prendere aria un po’ ovunque. Il bello è che oggi in preda da grande autostima da effetto bilancia non vendicativa (Sono dimagrita 2 kg e 8 grammi dopo 27 giorni di dieta, un vero successo) avevo deciso di essere un po’ vamps. Quindi pantaloni a palazzo neri, canottiera di seta secsi, occhiale da porno segretaria verdi con gli angoli all’insù e rossetto scianel rosso fuoco.

Insomma una scena inguardabile. Una porno segretaria vestita chic che guidava come quelli che portano il pane. Li avete mai visti? Esistono in ogni luogo. Sono vestiti improbabili e sopra hanno una sorta di camice, di solito hanno motorini osceni e rumorosi, delle volte anche a tre ruote ma non come quelli di nuova generazione che ti imbastiscono che a guidarlo sei un fico (per me sono osceni punto, altro che rotaie e sicurezza) e davanti (o dietro) hanno montato un cestinone di plastica rettangolare ingombrante carico di buste con il pane. E di solito viaggiano alla velocità della luce, svicolano come pazzi e guidano con i gomiti in alto. Con le braccia come se stessero abbracciando un obeso. Ecco io oggi ero proprio così.

E quando sono arrivata mi sono strappata la pelle delle chiappe tanto erano incollate alla sella. Poi con i panta acrilicissimi non entro nel dettaglio. Ti siedi e ti ustioni (sella rovente e panta sintetico fanno effetto piastra dei capelli sulla fronte, io l’ho provata, credetemi è uguale) poi arrivi e alzandoti la parte ustionata rimane appiccicata al pantalone che nel frattempo è diventato una sorta di calza di lycra.

Mi avvicino al portone dell’azienda. Ho la borsa pesante, la fronte con evidenti segni di impiastriccio (trucco, casco, caldo e sudore) i pantaloni appiccicati al culo e la chiazza sulla maglietta altezza rotoli ombelicali.

Cerco il badge, il cui laccio si è intrecciato con tutto quello che ho nella borsa. Mi cade tutto, urlo nella bottiglia una parolaccia (da stappare stasera quando la bottiglia sarà piena) entro e zac.

Un vento polare. Una roba da assiderazione, effetto ipotermia istantanea. I capelli mi si brinano. La goccetta di sudore sulla tempia diventa una sorta di decorazione swarosky di ghiaccio. Mi metto la giacchina che dopo il tragitto ha l’effetto ciancicato (ma va anche di moda, tanto. Quindi non mi preoccupo). I capelli, arruffati e umidi dal caldo ritornano da giapponese. Almeno questo. Il mascara mi si fissa (con l’effetto panda). Corro all’ascensore per evitare i geloni sul naso. Lì riprendo a sudare modello disfunzione endocrinologa e quando arrivo al mio piano sono esausta.

Finalmente è arrivata, l’estate che ho aspettato per mesi. Che meraviglia. Adesso ho un altro ottimo motivo per dire che DOVREI STARE SOLO IN SPIAGGIA.

E’ LI’ CHE BISOGNA PASSARE LE GIORNATE.

Prima o poi scappo davvero.

Buona sudata a tutti.

giovedì 23 giugno 2011

numefàparlà....

due righe di corsa per dirvi che ho incontrato un uomo di potere, con forte accento di provincia (non dico dove, non dirò mai chi è, ma è da raccontare).
La situazione era da film. Sala affrescata, lui e i suoi tecnici di fiducia.
Io accompagnavo persone normali che dovevano parlare con lui per un progetto.
Lui è un personaggio definirei "dell'orrore"

"Dottore... anselmi luisa...molto piacere sà..."
"comodi, comodi, che dovemo da avè le idee chiare qui che sennò se rischia de faconfusione (quando scrivo attaccato è perchè nel sentirlo non c'è pausa, è tutta un'unica parola)
"intanto benvenuti e come dire... noi adesso semoquìpefà andàvanti lprogetto...
Nun che a noiscepiasce de toje gnienteanesuno, ma bisogna che ci organizziamo..."
"si dottore e noi qui stiamo..."
"allora lo sapete già comevolemo procede, no? oraintanto voi non avete niente formalmente, e noi siamo qui pemette le coseapposto"
"sissì"
"allora entro quindiscigiorni medovetefirmàrdocumento, che poi si sistema tutto, si sistema"
"eh si, che così ce sistemiamo anche i nostri fiji"
"numefasciaparlà che nun vorrei dì cose cheme stanno scomode, chesedovessi accontentàtutti qui sarebbe n problema..."
"nonnò dottò noi semo contenti..."
"perchè io l'idee sce l'ho...penzavo de mette na fontana cotutti i colori... e sce butto pure du sirenedebronzo, cemetto, che l'ho comprate e ci starebbero bene..."

adesso. io non ho capito nè quello che diceva nè perchè lo diceva. io ero lì con dei numeri in mano, e la signora da tutelare. Lui aveva un sorriso durbans e parlava di sirenedebronzo e di cose che era meglio non dicesse (secondo me non sapeva neanche cosa dire).

Sono uscita dalla riunione con la colite, e ho capito che siamo in mano ad un manipolo di inetti narcisi e incompetenti.

ma vi giuro che ste sirenedebronzo le vorrei tanto vedere. devono essere il non plus ultra del kitsch.

venerdì 17 giugno 2011

Le Auai

Oggi sto pensando alle auai.
Perché ho dormito molto male. Ieri ero presissima dai cavoli degli altri, come al solito.
Partendo dal presupposto che l’ansia è una mia compagnetta , e che il mio stomaco oltre ad ospitare cibi di varia natura (in questi giorni bacche e radici visto che sto a dieta da bimbabiafra) ospita anche il seme del male, che è un morso stretto che mi fa salire il diaframma e mi toglie un po’ il fiato, mantenendomi in uno stato di costante apnea con pensieri apocalittici al seguito, mi rendo conto che tutto questo non so bene come gestirlo.
Si perché quando sei un tipo ansioso e il tuo lavoro è quello di risolvere i problemi degli altri, tanti altri, le cose si complicano tantissimo.
Ognuno di noi crede che i propri problemi siano i più importanti. Legittimo. Se poi c’è una povera crista che te li deve risolvere è proprio finita.
“pronto, dottorè, a che punto siamo?” “allo stesso identico punto di un’ora fa, quando mi ha chiamata” “no perché volevo accertamme che sta a annà avanti…” “si, sto facendo i conteggi ma mi lasci il tempo di finire. Come ho avuto modo di dirle le farò pervenire il documento non appena ho terminato” “si però dottorè, me riccomanno, che questa è na cosa mportante, perché qui ce vojono fregà”.
E così si lavora in urgenza, sempre. E stanotte ho dormito male perché mi sono venuti i dubbi. I dubbi di aver tralasciato qualcosa, di aver sbagliato.
Non ho manie di onnipotenza, non voglio avere la vita delle persone tra le mani. Non voglio caricarmi di tutti i loro problemi. Perché si affastellano sui miei, e diventano una montagna insormontabile da scalare.
E così mi sogno le auai. O le figi. O i caraibi. E mi sogno di scappare. Un bel biglietto sola andata. Uno zaino in spalla, o anche meglio un bel trolley perché è vero che quando si sogna di scappare c’è sempre la tendenza a farlo low profile, con lo zainetto e vestita casual, ma è una banalità. Perché si può anche scappare vestita in modo decente e con una samsonite. No?
E poi cosa farò? Ma che ne so. Faccio quello che capita. Intanto mi bevo una birra bella fredda.
Poi mi faccio un bagno. Poi magari scopro che cercano una cameriera al baretto.
E poi se ci penso altro che auai. Vado fino a lì a fare la sguattera mentre tutti si divertono e fanno il bagno. Allora cosa faccio?
Vado in spagna. Solo che il mio spagnolo è peggio dell’italiano per i pakistani.
Insomma solo a pensare come scappare mi riassale l’ansia.
Non c’è via di fuga. Forse dovrei provare le droghe. Leggere, per carità, ma anche quelle medie. Perché no. Oppure potrei mettermi a letto. O di punto in bianco perdere la parola, è una cosa che mi sogno da anni. Svegliarmi e decidere di non parlare più. Che magari non è l’auai ma mi da un senso di sollievo. Non potendo parlare esci dal mondo professionale. Puoi solo scrivere, che per me va benissimo.
Poi penso che per alleviare tutto questo smottamento di flussi celebrali dovrei farmi un bel massaggio. E mi ricordo di colpo di una telefonata di un anno e mezzo fa.
Era una richiesta di aiuto. Una persona in difficoltà con un centro estetico per alzare qualche soldino necessario aveva fatto una grande promozione e vista l’urgenza ho partecipato, accaparrandomi ben 10 massaggi per una cifra più che accettabile.
Ora frugo come una matta… dove sarà il biglietto? Sarà ancora valido? Chiamo con un imbarazzo terribile… scusi, sa… è che non ero neanche a dieta… mi sembrava anche inutile far faticare le persone su un corpicione…. Ora invece… non è che…. Davvero? Che belloooo!
Attacco e richiamo. Prendo appuntamento per domani alle 17:30.
Mi faranno un massaggio antistress…. Non saranno isole tropicali ma intanto provo a domare quella bestia nello stomaco. Poi magari se divento anche un po’ figa chi lo sa che non mi ci porta hugh efner, alle auai.

martedì 14 giugno 2011

Pauerbalans

Me lo sono comprato. Sì. E sapete quando? Due giorni prima che lanciassero sui giornali la notizia che è tutta una mega bufala.
Poi il bello è che ce lo siamo comprati entrambi, io e il fidanzo. E costa un sacco di soldi.
Ma lui ne ha tratto i benefici già da subito, appena indossato. Mi ha detto che si sente “un po’ meglio”. Lui l’ha preso nero, xl, io rosa, xs. Non so perché me l’hanno dato così stretto.
Ho la mano un po’ gonfia ma l’equilibrio va meravigliosamente bene.
Però a me l’effetto ologramma è svanito, nel senso che il famoso tondino che sembra di alluminio cangiante, come gli ologrammi, si è sbiadito. Mi sa che mi lavo troppo.
Adesso per evitare che se ne vada completamente mi lavo una volta a settimana (toglierlo no, poi se cado?). Tanto comunque con la circolazione bloccata anche lavarmi non è facile, visto che ormai saranno 3 mesi che lo porto e la mano è diventata un manone alla shrek.
Poi il fidanzo si è disamorato del pauerbalans e se l’è tolto. Ho approfittato subito e me lo sono messo io. Ora ho l’effetto arrosto. Uno a metà braccio che stringe un po’ e la manona.
Adesso ho un equilibrio non solo fisico, ma anche mentale.
Per esempio mando a fan---o le persone con un aplomb da modella caucasica (non so come si comporta ma a scriverlo ti da proprio l’idea che la modella, per di più caucasica, fa molto elegant) (ciao, sono del caucaso). Cioè sorrido e dentro dico la sfilza di parolacce.
Poi in sella riesco a stare al semaforo tenendo uno dei due piedi sulla pedana. Prima iniziavo a mettere giù entrambe le zampe quando stavo per frenare (che poi è tanto brutto da vedere).
E poi mi sento molto chic. Perché c’è gente che se lo continua a comprare anche dopo che hanno detto che è una bufala. Quindi è fantastico. Faccio parte degli inguaribili sognatori, gli idealisti.
Speriamo che inventino una cavigliera che ti fa salire la chiappa modello brasiliana. Me ne metto due o tre a caviglia.
Equilibrata e con un culo da urlo.

lunedì 13 giugno 2011

la vita in un rettangolo

Il mondo in un rettangolo.
E’ così.
Oggi è lunedì, e già lavare il viso mi pesa. Poi il tempo è così e così, e ho fame, visto che sto a dieta da una settimana. Quindi già le cose sono piuttosto complicate.
E’ tutto il weekend che cerco il computer, perché venerdì, scappando dall’azienda, avevo deciso di portarlo con me. Una bella scampagnata fuori porta, ho pensato. Non si sa mai decidessi di usarlo, o se ne creasse l’esigenza.
Quindi mi carico cavi e cavetti e acchiappo il bambinello. Che per carità fa molto fico, eh, però pesa sempre circa 3 kg e qualcosa. Aggiungici il caricatore, il topo (maus) (si, scritto così, vabbè?), la pennetta, i due fascicoli su cui eventualmente rischierei di lavorare. Tutto in borsa che è enorme, ovviamente. E poi ho anche l’aipadde. Così è leggero. Che poi sommato agli altri gadget sembro un rivenditore di euronix. Io, la borsa, la sacca delle cose inutili portate in ufficio nei mesi (sì perché ci hanno chiesto di eliminare ciò che rende l’ambiente meno asettico), il casco gigante da palle spaziali, il maglioncino e il cavo dell’auricolare tutti insieme ce ne andiamo verso casa in sella alla puledra. Che poi mi sono dimenticata di dirvi che è la morosa di furia cavallo del uest. Comunque. Quando arrivo a casa distratta mollo tutto in giro.
Per il resto del fine settimana cerco il computer inutilmente. L’avrò lasciato in ufficio, come faccio quando sono presa da mille cose da fare e mi scappa anche pipì ma non ho voglia di calar le braghe.
Quindi stamattina dopo aver litigato con la spazzola e aver scelto la tristezza di pietanza che mi allieterà solo i villi intestinali (fesa di tacchino al forno in busta col colore del culo di un albino) decido di prendere posizione: il pc è in ufficio, ora basta andare lì e tutto si risolve. Nel frattempo ho controllato un po’ tutta casa e il bagagliaio della macchina (anche se non la prendo da una settimana) (non si sa mai, mi sento demente senile quindi il check dell’assurdo ci sta tutto).
Arrivo in ufficio e scopro che del computer non c’è traccia. In realtà lo sapevo. Mentre ero in sella mi si materializza la visione di una sacca da mare bianca finto vimini di plasticone resistente enorme. E’ lì, il maledetto. E’ che di sacche ne avevo 3, tra borsa, sacca rossa del tour operator di un viaggio di mia madre in polinesia (beata lei) del 1988 con dentro le cose inutili (3 paia di scarpe, una sciarpa di lana, due ombrelli, un paio di guanti, una tisana per fare la cacca, una cuffietta rotta e un tapperware con dentro un blob non meglio identificato).
La sacca bianca mi era proprio passata di mente. Sarà che matchava bene con il bianco sporco della puledra. Per cui anche in casa, passandoci davanti, non l’ho degnata di uno sguardo. (Oddio forse uno sì, con il sopracciglio arricciato pensando: che gusti di pupù quella lì a regalarmi una roba così kitsch!).
Quindi arrivo in azienda, chiedo a chiunque di stampare documenti per ricostruire uno pseudo gemello di documento necessario ed entro in riunione.
Due ore di passione e poi scappo a votare. E mi carico così, tanto per fare, un paio di fascicoli in più. Ho deciso, timbro prima e lavoro da casa, non retribuita. Tanto senza pc in ufficio ci fai poco. Al seggio tra poco mi danno duecento lire e mi mandano via.
Nel mentre mi ricordo del dentista. Quindi vado anche lì. E bevo mezzo litro d’acqua. La pipì incombe. Arrivo a casa e mi apparecchio una signora postazione. Caffè, sigarette, acqua, fascicoli e sacca bianca. Mi metto a scrivere e così come d’incanto mi viene un pensiero.
Uno di quei pensieri insoliti come scoprire di avere un gemello omozigote cresciuto a buenos aires.
Non è che ho qualcosa da fare in ufficio oggi pomeriggio?
Certo che si.
Quindi ariprenderò la puledra, mi riattraverserò roma per la terza volta, e mi siederò lì, con l’aria condizionata a palla, facendo finta di essere una persona composta. Dentro ho un marasma di parolacce e gesti volgari.
Oddio adesso se ripenso al millennium bug mi sento male. Il mondo è chiuso in un rettangolino di plastica e metallo che deve girare necessariamente con te.
Pensa se si rompe.
E comunque dimenticarlo significa fare sport.
Come diceva mia nonna, mitica: chi non ha testa ha gambe.