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domenica 20 febbraio 2011

Sogni e cassetti

Proprio non capisco.
Dicono che ognuno ha i sogni nel cassetto, ma non mi ricordo se si dice davvero così, o se il detto diceva gli scheletri nel cassetto o nell’armadio. Insomma faccio una marea di confusione tra arredamento (cassetti, armadi, comodini, sottoscala) e sogni, scheletri, mostri, desideri, ideali, o che ne so io.
Quindi diciamo che io nel cassetto ci metto i sogni e amen. Solo che questi cassetti non solo sono faticosi da aprire e da chiudere, ma poi sembrano sempre più piccoli o sempre più profondi, per cui ci schiaffo davvero di tutto e non riesco poi a ricordarmi cosa ci ho buttato, dentro quel cavolo di rettangolino con la maniglia!
E poi c’è sempre la terzietà. Che non è la vecchiaia, ma sono le persone che ci includi, per dare forma e vita ai tuoi sogni… un vero dramma considerando che poi in un modo o nell’altro sabotano l’Heidi che è in ognuno di noi.
La verità è che i sogni devono avere tutta una struttura definita. Innanzitutto per esistere non hanno bisogno di essere condivisi nè condivisibili, poi non devono riguardare null’altro che sé stessi. Poi devono essere colorati, e non importa se non sono realizzabili. Altrimenti si chiamerebbero in altri modi. Tipo business plans, gant, budget, bilanci previsionali, etc.
I sogni invece sono come la rugiada, come l’arcobaleno, come una farfalla bianca a febbraio, come un bucaneve. Tutte cose veloci, inaspettate, bellissime, fragili e insolite.
Il sogno è proprio questo.
Per questo da ora in poi dentro al cassetto ci voglio mettere cose piccole, intangibili e semmai impossibili.
Perché sennò il cassetto si riempie di progetti pesanti, a lunga scadenza, con presenze ingombranti di terzi soggetti che se non ti aiutano (nella maggior parte dei casi) si mettono a guastare l’alba e il tramonto.
E infine… i sogni sono nostri, intimi e solitari. Sono come un volo veloce sul mare calmo. Con un tramonto perfetto, il vento che ti accarezza senza farti raffreddare. Nessuno potrà capire la perfezione di qualcosa che nella nostra intimità rappresenta la pace raggiunta.
Sognare significa non dover chiedere a nessuno l’approvazione, l’aiuto, la condivisione.
Ora mi tocca fare posto al mio nuovo regno di sogni, fatto di cose piccole e fantastiche. E nello svuotare i macigni che ci ho messo dentro sino ad ora sono convinta che un pochino soffrirò, ma poi il cassetto scorrerà liscio, e nessuno lo andrà ad aprire.
Perché il primo dei sogni che metto lì dentro c’è quello che il cassetto dei sogni ha la maniglia invisibile.

giovedì 17 febbraio 2011

rivisitazioni

tanto va la gatta al lardo che si rompe li cojun.

il diavolo fa le pentole, e chissenefrega no?

chi dorme beato lui.

l'erba del vicino ma chi se la caga.

se son fiori non è popò.

una rondine non fa tutta la cacca di uno stormo.

quando il gatto non c'è sticazzi.

meglio un uovo oggi che una secchiata di piscio in faccia.

chi non risica andasse a cagare.

Date a cesare quello che ve pare.

la legge è uguale a sta ceppa.

chi troppo vuole si rifà le poppe.

uomo avvisato se è sordo che ce vuoi fà.

non dire gatto se è un cane, coglione.

a buon intenditor levateje er tavernello

a caval donato sparaje.

a mali estremi sparate tu.

lunedì 14 febbraio 2011

Sindrome dell'idraulico liquido

Non so voi, ma a me capita parecchio.
Mi sento tutto di un tratto trascinata da una sorta di idraulico liquido, e come quando un lavandino otturato si sblocca faccio quelle sorte di mulinelli fino alla scomparsa.
Quello è l’effetto principale che sento tra sotto le tette e l’ombelico.
Una sorta di sciacquone potente che frulla dentro, a gorgoglii.
Ora, di sicuro ho una fame da lupi, e la dieta è diventata una sorta di parola tabù che mi offende la buccia d’arancia, ma non credo sia solo per il pizza-desiderio.
Credo sia proprio insito nell’arrivo della primavera.
E’ per questo che sono sparita per due settimane. Ero nel pieno vortice.
Mulinelli a go go, zero respirazione, tachicardia.
Una specie di attacco di panico prolungato giorni e notti, senza via di fuga.
Oggi poi in azienda c’è stata una riunione dei dirigenti. E’ stato lì che ho pensato che la mia è proprio una sindrome.
Mentre per circa 13 anni ho pensato che fosse dovuta alla voglia matta di cambiare vita, oggi non lo penso più.
Ci aveva preso in pieno mia madre, quando a 11 anni mi regalò un astuccio per le penne di Snoopy dove lucy diceva “adoro l’umanità, sono le persone che odio”.
Ecco, non si tratta di cambiare lavoro, ma di chiudermi proprio in un eremo e passare il resto della vita come dicono gli americani in uaildernes. Wilderness scritto in inglese.
Una sorta di catarsi nella natura, senza che vi sia alcun contatto con altri esseri umani.
Perché la primavera incide, ma mai quanto il quotidiano la mattina, seguito dalle beghe che devo risolvere, aggiungendoci i cattivi umori dei sovrapposti e le lamentele dei sottoposti, gli sbuffi dei pari e il caffè di pessima tostatura che il distributore eroga per soli 40 centesimi.
Le litigate con il ragazzo con cui ho intessuto una frequentazione da uicchend in attesa di un futuro so bright I gotta wear shades (i sogni son desideriiiii) e le orecchie che continuano a sentire bisbigli di natura pettegola da parte di chi neanche mi conosce.
Insomma diciamo che l’effetto tsunami è dovuto da una serie di fattori non riconducibili ad un unicum. Oggi mi va di scrivere colto, inglese, latino, na tazzuriell e cafè e ci ho messo anche il napoletano.
E quindi come faccio? Sogno di scappare lontanissimo e sola, in un’isola spagnola, di prendere una casetta fronte mare, di fare la commessa in un negozietto fashion vintage, di scappare al mare e di dimenticarmi come mi chiamo, le doppie punte, il mio peso in kg, le scarpe scomode, i pettegoli, le litigate, i dirigenti, i sovrapposti, le lamentele, e visto che al mare la pelle è più pulita… anche i comedoni.
Però non basta chiudere gli occhi e sparire. Se fossi una gnoma mi metterei sotto un san pietrino (per intenderci, il pavè romano, quei blocchetti di pietra che fanno svitare i motorini in centro, qui a roma).
Oppure fare come il buon Cosimo. Salire su un albero e non scendere più.
C’è la crisi, la politica fa cagare, non sono abbastanza giovane/zoccola/bona per fare l’Olgettina, non ho voglia di ammazzarmi di lavoro, quello in cui credo è distante anni luce, sono troppo a terra per inventarmi una nuova me, quindi leggo con attenzione se si può fare la cura del sonno indotto farmacologicamente anche in assenza di gravi turbe psichiche. Tradotto: la sindrome idraulico liquido basta per farmi 15 giorni in clinica? Tutto bianco, non mangi e torni bambina (niente corse al gabinetto, c’è chi ci pensa al posto tuo).
Poi sai come ti svegli riposata?
Comunque mentre sogno un sonno senza sogni la vita va avanti e io entro ed esco da riunioni e appuntamenti. Ho avuto pure l’effetto sbang. Quello della testa che batte forte sulla scrivania da colpo secco di narcolessia. Ho ordinato un caffè deca che sembrava una tazzina di latrine di calcutta (mi devo ricordare di dirlo, all’amministrazione) e con la ciofeca mi hanno anche omaggiata di finti togo al cioccolato al latte. E mentre i clienti erano lì a dimenarsi tra le beghe con i colleghi…io mi leccavo le dita sporche di cioccolato. Anche perché con la sindrome da idraulico liquido ti sembra di bruciare 6-7000 calorie all’ora. Anche se non è vero.
Poi il bello è che quando sono in questo stato non c’è una via di mezzo: o mulinelli o sonno bestia che oscura tutto. Intervallato da momenti in cui non mi chiedo come sto perché sono troppo presa a preoccuparmi delle mosche negli occhi. Cioè? Quelle particelle di zella che ti navigano nel fondo dell’occhio per cui mentre parli con qualcuno ti accorgi di avere cumuli di macchie nere che seguono il tuo sguardo, per cui inevitabilmente cerchi di seminarle e inizi a buttare lo sguardo in modo spasmodico a destra, sinistra alto basso laterale obliquo etc alternando strofinamento con mano e apri e chiudi. Per cui il tuo interlocutore si ferma, si appanica e ti infila la cinta di cuoio in bocca per bloccare l’eventuale ingoio della lingua tipico di un attacco epilettico.
Ovviamente tutto questo scompiglio comporta una serie di effetti collaterali. Come la sudarella. Idraulico liquido e sudore vanno sempre di pari passo. Mani sudate, ascelle tumide, brividini e secondo me anche un pizzico di alitosi. Ma tanto su quest’ultima cosa rimarrà per sempre un punto interrogativo, perché nessuno ha il cuore di dire “scusa ma ti puzza il fiato”.
Io una volta alle medie sono stata sorteggiata, in un gruppo di stronzette bulle, di dirlo alla povera Ilaria. Ancora me lo ricordo. Ho tentennato due giorni e poi secca: “ilaria, ma tu digerisci bene? Te lo chiedo perché ti puzza un pochino l’alito”. La ragazzina ha pianto. Io mi sono sentita come un ploppete gigante e da allora ho promesso a me stessa che questa cosa si dice solo alla mamma e al cane (a meno che non ci sia una tale confidenza che un accenno porta prima alla risata e poi a un sano sciacquo listerine).
E mentre mi frulla il mulinello a getto convulso scrivo e telefono, in apnea con gli occhi iniettati di sangue, e aspetto giorni migliori.
Se i sintomi non peggiorano scrivo anche domani.

giovedì 3 febbraio 2011

...sonn... ho... sonn... zzzzz

Ho un sonn... sonn... io... io... ho sonn...
zzzzz... ronffff.... sonn... molt.... sonn....
lett... mat...mat...materazzz...
sonn...zzzz.... ronf.

Chi è bravo indovini come mi sento.