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giovedì 28 ottobre 2010

belu cabelu.

Belli cabelli.

Ieri non sono riuscita a trovare un minuto di tempo, e soprattutto di buon umore, per scrivere nulla.
Tanto più che invece di leggere un buon libro mi sono guardata Porta a Porta. L’avessi mai fatto. È finita che mi è venuta una tale ansia che dopo il corpo per scaricare la tensione ha pensato bene di crollare sul divano. Quindi mi sono ritrovata con la tv accesa, alle due di notte, in una posizione misto tibetana-jean cojon. Praticamente per capire dovreste mettervi in ginocchio tipo preghiera, con il capo molto molto reclinato verso il petto, gobba in evidenza e poi buttarvi a tre quarti su un fianco faccia su divano.
Comunque oggi vi voglio parlare dell’ossessione di tutte le donne (e a volte uomini) che hanno i capelli ricci.

L’anticrespo.

Partendo dal fatto che quando guardo le foto della mia infanzia mi chiedo “ma poi che cazzarola sarà mai successo?”. I capelli erano sì ondulati. MA LUCIDI. Setosi. Corposi.
Poi a 14 anni ho iniziato con le tinte.
E a 16 con la piastra. Che all’epoca era un ferro da stiro rettangolare. Li allisciavo che alla fine sembravo una cinese. Avevo la frangetta. Non vi dico che roba. Sembrava una visiera di gomma. Dritta, tipo scivolo, che a guardarla era quasi tagliente.
E pensare che all’epoca ritenevo che i capelli fossero un accessorio, di quelli su cui sfogare la fantasia.
Tagli cortissimi dietro e lunghi davanti, tagli cortissimi davanti e lunghi dietro (effetto limahl, ve lo ricordate? Il cantante della canzone di punta del film Never ending story). Rossi, neri, neri e rossi, con frangia cortissima, a spazzola, e poi biondo platino, e meches, e poi tiraggio, e scaliamo, e perché no un ciuffo più chiaro, e la piastra e il gel e il campus alla mela verde…

La verità è che mia zia è rappresentante di prodotti estetici. Quindi mi ha sempre usata da cavia umana. Non che la cosa mi dispiacesse, dopotutto erano prodotti gratis. Ancora me lo ricordo come fosse ieri. Dovevo uscire con un tipo troppo carino che mi piaceva da tantissimo tempo…sai quelle robe che quando ti dice “allora venerdì una birra?” tu nel tuo immaginario già ti vedi nella casa del mulino bianco che sforni pagnottelle e ti baci lui in pattine con la gambetta alzata? Ecco. Più o meno così.
Ovviamente doccia, depilazione totale (tra poco anche delle ciglia e sopracciglia) maschera antitutto (anti comedoni – che già il termine mi fa paura – è un po’ come “International allert: la terra è nella traiettoria di un comedone, entro 11 anni saremo solo polvere” o anche “mi scalda un comedone prosciutto cotto e provola?” oppure “io non vengo bene in foto, sono poco comedogenico”) (dicevo, anti comedoni, anti rughe, anti capillari rotti da aria condizionata, anti acaro, anti cheloide, anti tarme, anti macchie da fumo, anti pelle unta, anti screpolo, anti gelo, anti peli ovunque, anti borse sotto gli occhi, anti labbra secche – cioè te la metti e diventi nina moric), anti look alla spagna e loredana bertè).
Poi scrab (violento e sotto doccia alternata calda fredda), sciampo e balsamo e dopo balsamo e goccine e olietto ai capelli.
Quel giorno arriva mia zia tutta arzilla. “ho un balsamo che pare sia fantastico. Te li lascia lisciiii lisciii morbidi e profumati”. Quale migliore occasione.
Impacco tutto mentre sotto la doccia mi appresto a scrostare i chicchi di sale dello scrub dove sul barattolo non dicono “evita di usarlo in presenza di peli e nelle parti delicate”. Ho un’irritazione che il fuoco di sant’antonio sembra un comedone, appunto.
Sciacquo con cura. Già in fase “spiccio sta matassa di nodi senza forma” inizio a capire che qualcosa non va. Li sento particolarmente papposi. Come ingrassati di grasso di foca.
Ma è di sicuro un’impressione visto che devo uscire tra solo 45 minuti.
Inizio la fonata (da fon) e il capello è lì, pesante. Che non si muove, non cresce.
Che paura. A metà asciugatura ho una sorta di casco compatto di capelli. Se scuoto la testa i capelli la accompagnano. Sembra che ce li ho disegnati.
Insisto con fon e mano. Le dita mi rimangono imbrigliate tra i capelli. Nuovi nodi, enormi. Inizia a montarmi una certa rabbia.
Dopo 45 minuti (meno male lui è appena in ritardo) sono vestita, truccata, intaccata, contenuta (nelle calze a diciottimila denari), ingioiellata etnica, profumata (poco perché a me il mignottone che ti passa accanto e ti lascia la scia mi fa vomito), e pronta con sorriso già provato allo specchio (sia frontale che di profilo – di profilo è fondamentale per quando sai che ti guarda da lontano ma tu fai finta di non vederlo e diventi una tacchinella cogli occhi a flap). SOLO CHE al posto dei capelli ho una montagna di lana merinos prima della tosatura.
I capelli non sono stoppa, perché la stoppa almeno è bionda e liscia, sono una nuvola crespa dura e al tempo stesso grassa di matassa di peli di merda.
Insomma una vera tragedia. Il barbone sotto casa mi fa una pippa, per intenderci.
Chiamo mia zia imbufalita. Lei ride.
Non ci siamo, penso. Proprio no. Che cazzo ti ridi che ora scendo e quello mi mette al guinzaglio invece di portarmi a cena. Sembro uno di quei cani scomposti, con chilate di pelo in testa. Sembrano i capelli di Mariangela la figlia di fantozzi ma estremamente più gonfi.
Anticrespo, aiutami tu.
Una volta ero ad un matrimonio. Presentarsi da single, ogni volta, era piuttosto imbarazzante. Quella volta invece ebbi la fortuna che un ragazzo carino, molto carino, anche lui single, mi propose di andare insieme. Era fuori città, al mare. Era luglio, prendemmo due stanze comunicanti in un piccolo hotel de charme. Era tutto così perfettamente bucolico.
Arrivammo dopo un viaggio pieno di chiacchere e risate e un pranzetto bordo lago, ci facemmo la doccia (separatamente, ovvio), ci vestimmo. Io mi acchittai a festa. Vestitino bianco con i fiori, tacco rosso, borsetta ton sur ton. Mi truccai e dulcis in fundo la sfoderai.
“Numme freghi” pensai. E gli andai giù di piastra pesante. Sudavo come un cavallo gravido. 30 gradi e la piastra e dopo 10 minuti mi dovetti struccare e ritruccare. Ero viola congestione.
Ma i capelli come quando ero bambina. Lisci lisci, setosi, profumati.
Mi ritruccai ed uscii dalla stanza con la massima naturalezza. Non avevo scritto in faccia “porco cavolo di un pero che cazzo di sudata co sti capelli di pupù che al primo gonfiore li meno”.
Salii in macchina e via coll’amico singol al matrimonio.
Ore 5. Un caldo da beduini. Io mi sentivo colare gocce di sudore da sotto le tette. terribile. Da allora mai un vestito con bretelline quando fa caldo.
Erano tutti sudati, in effetti. Sembravamo un gruppo di orribili sudati grassocci sotto la lente di ingrandimento puntata al sole.
Il capello orientale mi si appicicava dietro al collo, sulla fronte, sotto le ascelle. Cercavo di scostarlo. Perché il peggior nemico della piastra è il sudore. (ovviamente dopo la sera umida).
Arriviamo al ricevimento che ero a pezzi. Vedevo con la coda dell’occhio onde anomale partirmi da dietro il collo. Ma ero con lo splendido amico simpatico singol e comunque mi guardavano tutte. Quindi ero figa. (quando le altre donne ti squadrano o sei sconsy – quindi un totale cesso – o sei figa).
Mi siedo parlo, ammicco, faccio il sorriso frontale e profilo, fumo una sigaretta. Sono splendida e divertita. Poi arriva la Gioia. Alta un metro e uno, quinta di reggiseno (tetta di gomma), con le amichette al seguito. Mi saluta affabile. “ma cos’è che hai intorno alla testa?” io faccio per scostare una zanzara, un ramo, un sasso, un calabrone, una cacca di uccello, una pigna… lei “nooo, c’è come… una lanugine….” Io capisco al volo. I capellini nuovi. Poverini. Quelli che colpa ne hanno. Si sono ringalluzziti allo scendere della sera. L’umidità ha fatto il resto. “sei lanosa… “ io le guardo i capelli. Manco la modella di fructis sta meglio di lei. Capello liscio perfetto corposo dalla punta alla cute. “beh, tu hai i capelli perfetti, gioia, facile fare i commenti a noi umani” “ma noooo, dovresti usare il siero che uso io…guarda, vedi che a me l’alone non viene?” “ma perché cazzo parli nana di merda?” mi giro.
Cazzarola l’ho fatto.
Non ci posso credere. Lei è basita e io anche. Mi sa che dentro dentro sono una scaricatrice di porto. E’ la prima volta che mi capita. Non ho il coraggio di guardarla mentre il merinos che incornicia la mia testa sta facendo un party di ringraziamento ballando la lambada.
Che giustizia sia!
Anticrespo, aiutami tu.
Per non parlare della frangetta. Una volta me la taglio. Da sola. E poi parto per il campeggio. Beh, sprovveduta. La piastra è a presa elettrica. Risultato? Sembravo camilla la bambola col passaporto. Un cespuglio riccissimo piantato davanti alla fronte. Una cagata bestiale.
Neanche le bure anni 80 stavano ridotte come me.

Anticrespo. Aiutami tu.
L’altro ieri vado. Cheratina. Non sai quanto fa bene al capello. Lo nutre, diventa liscio e morbido e setoso.
180 euri col taglio.
Due ore di trattamento, tra riffe e raffe.
Mi lavano i capelli. Me li tagliano. Poi mi mettono in testa una roba che puzza di piedi camembert citrosodina e acqua ragia. 20 minuti. Mi sento come zed (quello di raffaella carrà con la testa di gomma bionda). Poi lavaggio. Poi fissaggio. Ora 20 minuti con una sostanza che puzza di kiwi marcio e vernice da barca.
Mi viene il dubbio “ma quindi questo non è un tiraggio, è un trattamento come dire…riposante lenitivo?” “beh, un po’ tiraggio è” il bastardo ritratta.
Alla fine di questa agonia ho i capelli di gomma. Me li asciuga.
Esco con un un maglione di lana pettinata in testa. Il merinos è domato, ma l’effetto alone ancora c’è, solo che adesso ho la testa a piramide. Sopra spaghetti cinesi, sotto crespi senza riccio a effetto damina con spalla scesa e capello di pupù come nei quadri nei musei.
Bella. No no, ma bella. Bella cazzata.
Anticrespo, cazzo. Mettite na mano sulla coscienza.
O sennò fai una cosa, va. Vaffanriccio.

lunedì 25 ottobre 2010

BISNES E TECNOLOGIA. CHE CULO.

Oggi un’amica mi ha chiesto anticipazioni sul daily post di cubois.
Volevo parlare dell’acquisto di un paio di stivali, poi data la giornata ho deciso di cambiare idea e di entrare nel vivo di un’agenda media di una persona che lavora.
Ognuno ha il proprio mestiere. Tranne quello che per me è da considerarsi utile (piacere, sono gina, e di mestiere faccio la CASALINGA), tutti gli altri si smazzano con le professionalità più varie. Dottori, avvocati, ingegneri, manager, commesse, pranoteraupeti, farmaciste, enologi, proctologi, astronomi, maghi, coltivatori diretti, mignotte, tronisti, becchini, traslocatori, e chi più ne ha più ne metta.
Ora io non posso entrare nel merito di una giornata tipo di tutti. Ma conosco bene la realtà dove sono inserita io. E per svolgere bene la mia professione l’era tecnologica, secondo i più, ci da una mano.
Come?
Partiamo dal cellulare. Il primo era quello a valigia. “ciao, vedo che stai partendo”. Sorriso sornione, alzata di sopracciglio, pacchetta sulla spalla. “questo borsello? Il mio cellulare”. Incredibile. Proprio comodo. Peso medio 3 chili. Aperta la zippetta c’è una valigia piena di scatola di plastica, e un filo da cui spunta una cornetta tipo quella di casa. Quindi rispetto agli sfigati che devono stare a casa per parlare col cugino in america, loro sono molto più fortunati. Loro si fermano, si siedono, aprono la valigia, tirano fuori la cornetta e digitano dentro la cerniera. E poi parlano.
Deve essere allora che hanno chiuso i manicomi. Gli psichiatri si devono essere per forza arresi. Immaginate voi vedere ogni tot di gente normale quattro soggetti che sono seduti in passeggiata, sui muretti e al bar che parlano con la valigetta tramite cornetta.
Poi arriva il cellulare grigio, quello coi tastini e col diplay nero su cui appaiono i numerini rossi. Peso: sempre 3 chili, ma si può riporre in tasca. Solo che bisogna scegliere quale. Tasca pantaloni davanti no. Fa effetto pornodivo. Tasca dietro no. Fa effetto caccasotto. Tasca giacca davanti no, fa effetto petto di pollo offeso. Non resta che tenerlo in mano.
Deve essere allora che ha preso piede lo shatzu. Tutte tendiniti, gomiti del tennista, infiammazioni al nervo bracceo (non esiste ma rende l’idea).
Poi dopo l’8700 della motorola arriva lo startac. Quello che si apriva a cozza. Chi ce l’aveva era figo per antonomasia. Poi se lo chiudevi con violenza faceva pure il rumorino. Quindi sapevi che uno era figo anche se era seduto dietro di te. Dal solo rumore a colpo secco della cozza tecnologica.
E poi finalmente non si è più sentito “pronto, chi è?”. Perché da un giorno all’altro apparivano i numeri di telefono di chi ti chiamava. Si, proprio lì sul display. Fantastico. Di solito il trucco era ricordare le ultime tre cifre. 307 è la claudia, 415 è la nadia, 007 cazzo non rispondo che questa è di sicuro la banca.
Poi a un certo punto esce fuori che se salvi il nome e il numero puoi ricevere la telefonata e sul display ti appare “mammina” “papà” “antenore” “parrucchiere” “zolle”.
A quel punto era tutto più facile. E’ da allora che ha preso piede l’acutil fosforo. Perché ormai impigriti non ci ricordavamo più un bel niente. Mamma la chiamo solo se ho il cell con me. Se me lo perdo divento orfana.
E voi direte… che c’entra col lavoro? C’entra eccome. Soprattutto quando è arrivato il FOTTUTO. Chi? Che cosa? Il fottuto. Quello che ti frega i soldi, la praivasi, il gusto dell’evasione.
Quel bastardo. LOSAIDITIM. Nome talebano, di sicuro. Cappaggìbbì, CIA. LOSAIDITIM è peggio della kirby. Non so se avete mai avuto l’esperienza della kirby. Pare che ti facciano vedere quant’è sporca casa tua con una prova sul materasso. Con questo marchingegno che pare venga dalla nasa ti passano un superaspiratore su un quadratino del materasso che obiettivamente cambia colore. Da color panna a bianco luna piena. E poi praticamente se ne vanno dicendoti “vedi tu se vuoi vivere nella zella”. E poi ti chiedono se hai amici o parenti interessati. E tu che da quel giorno cerchi di concentrare tutto il tuo corpo su quell’unico quadratino pulito dormendo notti insonni in posizioni da contorsionista (visto che ormai ti fa schifo il resto del materasso) dai a quegli agenti della kirby i nomi delle prossime vittime. Solo che se non sei disponibile per la visita sono cazzi. Loro ti chiamano, e ti chiamano, e ti chiamano, e ti chiamano. E ti chiamano. Io una volta gli ho detto che partivo per un anno. Dopo un anno e un giorno “buongiorno, sono Antonella della Kirby. Fatto buon viaggio?”. A quel punto ti incattivisci. “senta, io sto partendo per il Paraguay per sempre ma ho dei nomi per lei”. E’ facile. Prendi la rubrica, e dai il numero del tuo vecchio datore di lavoro stronzo, della suocera, della ex di tuo marito, della rappresentante di classe rifattona, etc.
Beh, la kirby è nulla rispetto al fottuto LOSAIDITIM. Intanto… ma chi lo vuole sapere? Io no. “losaiditim. Alle 23:56 ADELE ti ha chiamato”. Ma sticazziiiiiiii!!! Se adele mi vuole parlare richiama lei! No? No. Te ne arrivano anche 3 di seguito.
Tanto tanto dici il cell era spento… ma no. Il fottuto ti becca anche se stai due minuti al telefono.
“dottoressa, ho provato a chiamarla ma lei non mi ha richiamato”. LOSAIDITIM…vaffanculo.
Non solo parlo al cellulare per lavoro, ma devo pure richiamare io. Ormai non c’è scampo.
Pensa che pur di non leggere lo SAIDITIM ho cambiato gestore. Sono passata a Vodafone. Beh? Non ci crederete. E’ la cugina bieca del fottuto. Ti arriva un sms che ne so, da ENRICA. Tu curiosa apri e cosa trovi? Ho chiamato alle 13:43 del 24/10/2010. Informazione gratuita del servizio CHIAMAMI di Vodafone.
Fottuto e chiamami. Non c’è via di scampo.
Quindi sul lavoro ora abbiamo tutti un monitoraggio chiamate completo e dettagliato. Niente possibilità di dire “mi si è scaricato il cell.. davvero hai chiamato? A saperlo!”
E fin qui tutto bene. Poi arriva il sassolone blu. La prima serie era blu ma si chiama MORA.
Il blacberri. Quelli innamorati nei messaggi scrivono “il mio bb”.
Questa è la vera rivoluzione. Non solo ricevi telefonate. Sms. mms (quelli con le foto, che per inviarli ci metti circa 17 minuti e poi dopo due giorni ti dicono “ahhhh nooooo io non li ricevooooo”). Ora anche le email. Tutte. Come se fossi seduto alla gigafantamegascrivanianumero2. Comodo. Poi ti arriva la mail urgente del tuo capo, quindi digiti la risposta con solo pollice (che ricordo a tutti perderà presto la funzione del pollice inverso perché ormai lo usiamo come le foche), con l’altra mano cerchi il documento e tiri il trolley, hai la carta di imbarco in bocca e sudi dal caldo perché non ti sei tolta la sciarpa. Ti stai imbarcando. Cammini come se fossi rapita dagli schiaccia pensieri. Ve li ricordate? Io ne avevo uno che mi faceva venire le extrasistole (anche questa parola non la so scrivere, forse era banale tachicardia?) (nel giochino c’era snupi che raccattava le palle di un coglione che continuava a tirargliele e lui poverino cane demente era su tre rami di albero…manco un closing ti porta a quei livelli di adrenalina). Comunque. La verità è che ti alzi la mattina con la sveglia a gong del BBiBBì, poi a quel punto sbirci. E già ti leggi le magagne. Manco hai fatto plin plin.
Poi il caffè davanti ai giornali, su internet. E intanto ding ding, ding ding… le mail arrivano a spron battente.
E poi l’auricolare senza fili. Sarà che sono deforme ma a me l’auricolare non entra mai bene. Me lo perdo. Mi cade. Non sento una minchia. E se uso quello coi fili dopo un po’ ho l’otite. Mi inizia a far male da morire il pirulino centrale dell’orecchio. Quello dove le ragazzine si fanno il piercing. Capirai, come fanno non lo so. Visto che io temo pure le cuffiette per me loro sono aliene.
Comunque sincronizza l’auricolare al BBiBBì e prendi la puledra, anche quella a iniezione (tradotto per noi poracci degli anni 80 non c’è più la pedalina. Ti devi affidare alla tecnologia. Se non parte ti chiami un taxi. Niente spintarella schiaccia metti in seconda dajeeeeeeeeee).
Poi arrivi in azienda. Che hai l’auricolare che ti pende, cammini quindi per sbieco, il casco ancora in testa, la borsa della palestra (ndr. Leggi sceip ap), la borsa col computer e cose in mano. E il beg? Lo chiamano badge. A me piace scriverlo come si dice. Beg. Devo beggiare.
Non ce la faccio, già mi viene un po’ da piangere.
Ma le cose si complicano quando vai in video conference. Di solito si vede di merda, oppure troppo bene. Ti sparano dei primi piani che sembra il paradiso dell’estetista.
Poi è stupendo quando l’immagine si impalla. Io di solito adotto la tecnica di sai baba.
Spengo tutte le luci e mi siedo proprio davanti alla finestra spalancata. Fa effetto mistico. Di me vedi solo la sagoma nera e dietro un’aurea di luce bianca.
Ma ragazzi. La cosa in assoluto più triste, più triste, più triste di tutti è la stella. La conferenscol. Sei lì, seduta in saletta, davanti a un disco volante a forma di stella marina monca, e parli con un altoparlante magico. E siccome non ti vede nessuno hai le braccia allungate sul tavolo, gli occhi semi chiusi, sei sfatta. Le voci rimbombano che dopo ti devi far controllare le carotidi. Ed è lì che mi sento proprio una sfigata.
Quando attacchi, poi, ti colpisce il silenzio della stanza. E ti si sturano le orecchie come in fase di atterraggio con l’aereo.
E vabbè. Grazie alla tecnologia che ci ha reso più efficienti.
Poi però ditelo al mio culo quadrato, al pollice che quasi si rifiuta di fare l’inverso, all’orecchio bollente e irritato dal pirulo del vivavoce, alla cervicale da viaggio con piccì (non è un bambino, è il compiuter).
E poi mi tocca pure rimanere nell’ombra per osannare le casalinghe.
W LA PENNA BIC E IL BLOCK NOTES, IL DUPLEX E MASTROLINDO, W LA POSTA COL POSTINO E IL TELEFONO CON LA ROTELLA. W IL TORPEDONE E IL TACCUINO, W L’AGENDA CON GLI ANGOLINI DI CARTA DA STRAPPARE. IL PALTO’ E IL LAPIS.


E ora che mi sono un po’ sfogata fammi controllare le mail sul BBìBBì.

domenica 24 ottobre 2010

Il binbi

E’ domenica.
Ho scritto dell’ignoranza, e di tutte le cose che non so. Ma la verità è che non dobbiamo mai dimenticare di dedicare un pensiero alle MITICHE (per chi non lo sapesse...sono le casalinghe). E da giorni non mi dedico a loro.
Quindi la domenica è da consacrare con un piccolo discorso caro alle mie icone di gioia.
Il binbi. Che si scrive Bimby. Credo.
E’ quella macchina che per soli 980 euri cash ti permette di fare Vissani a casa tua.
Il prezzo non è neanche eccessivo considerando che gli manca solo la funzione anticellulite poi è direi completa.
In sostanza, per chi non ha dimestichezza con l’apparecchio ormai in voga tra le mitiche, si tratta di un aggeggio piuttosto bruttarello, composto da base di metallo e plastica, un ciotolone di acciaio e una pala che gira, gira, gira. Tre rotelle a velocità diverse, un timer e un tappo.
Come si usa? Tu lì dentro ci butti gli ingredienti. Poi col manuale schiacci velocità 1, 8 minuti, poi schiacci “on”. Poi suona e apri metti altri ingredienti (o anche no), schiacci tasto 3, timer 12 minuti e riattappi. E così via.
E dopo circa 30 minuti hai fatto il pane, il risotto ai carciofi, la crema pasticcera, il gelato o la zuppa ai ceci.
Tutto a seconda degli ingredienti.
Solo che lo puoi fare solo per 6. Cioè se sei in due finisce che diventi una barca tutta ciccia e brufoli.
Niente più soffritti, fuoco lento, girare, mestolo di legno, poggia posate per non sporcare tutto. Niente padelle, in sostanza potresti anche non avere più neanche la cucina. Basta una mensola e l’elettricità.
Geniale.
Con soli 980 euro muori di fame se per caso l’enel fa i lavori in zona tua.
Poi piano piano ti accorgi che a merenda invece di fare pane e burro, pane e olio, pane e prosciutto o i semplici tegolini del mulino bianco ti mangi circa mezzo chilo di crema pasticcera calda fumante.
Ti viene la colite (come quando fai ginnastica, ndr sceip ap) ma ti sembra di avere a casa la colf o la nonna di una volta.
E poi è un attrezzo che consente il multitasking. Perché tra un giro di rotella e lo schiaccio di un pulsante puoi:
depilarti
passare una mano di smalto
cambiare uno o due pannolini al ragazzino
metterti tantissimo rossetto
guardare “paint your life” in tv (lo so, la conduttrice è da sparare, con quel fare da secchiona del cazzo, ma le idee sono carine. Peccato perché lei usa solo colori agghiaccianti. Che ne so, fa il decoupage e usa l’argento col viola e il marrone)
Puoi anche fare una serie di squot (siccome non li faccio non so neanche come si scrive ma serve per fare i glutei. In sostanza è piegare le gambe sino quasi ad un accovacciamento stile numero due in passeggiata nel bosco solo che sei a casa o in palestra e la serie è da almeno 10 piegamenti…)
Insomma con il binbi svolti pranzo cena e colazione. E ti rimane tantissimo tempo libero. Poi se sei un tipo pigro puoi servire direttamente dalla ciotola di acciaio, a tavola. Certo non sarai mai Doris Day ma quando l’odore prevale secondo me neanche il tuo compagno rutto libero dice nulla.
E poi il binbi ti tiene in auge.
Il giorno dopo puoi dire “ieri ho fatto la pizza fatta in casa, sai i ragazzi la adorano”. Di solito ti chiedono se hai comprato quella già stesa della buitoni, che devi solo condire. A quel punto è legittimo lo sguardo disgustato e sorpreso…. “MA NOOOO, che ci vuole? La pasta la faccio io! Basta acqua farina e lievitooooo!!!!”.
E certo. So’ bravi tutti, così. Mica devi dire che schiaffi tutto dentro il binbi e che fa tutto lui, poi interviene la donna di servizio a cui dici solo “stasera pizza” ed eccoti lì, davanti alla tv con famiglia. E il giorno dopo ci fai pure un po’ la figa.
Poi adesso è uscita la versione che fa pure il gelato. Quindi la cosa rende ancora più meritoria la professione delle mitiche.
Adesso quando vengono invitate a cena ti portano il semifreddo alla mandorla e caffè con pezzetti di torroncino. E tu ti senti una merdaccia perché in frigo hai i mini magnum e pensavi fosse il top.
Mica lo sapevi che non ci vuole niente. Perché il binbi o lo conosci o sei fottuta. Ti sentirai sempre inadeguata.
Anche tra le mitiche c’è la diatriba. Ci sono due schieramenti netti. Un po’ come pd e polo delle libertà (oddio ora manco più così netti). Ci sono le BINBI PRO e le BINBI CONTRO.
Le prime ci si fanno anche il caffè la mattina. E ci partono. “dunque, ho preso tutto? Phon, bigodini, figli, ceretta, playstation, porcellino d’india, fido, marito, colf e pattine…” “signola, binbi no polta?” “ODDIOOOO ECCO COSA MANCAVAAAAAA”
Se lo portano in campagna, al mare, in campeggio e in hotel. Diventa una delle cose che cerchi prim di uscire di casa. Borsa chiavi binbi e cellulare.
Invece poi c’è la cricca contro. “lo compri se non sai cucinare” “è immorale spendere tutti quei soldi” “a me non è utile” “me l’ha regalato mia suocera, come se suo figlio morisse denutrito, che stronza” “ce l’ho ma nello sgabuzzino. Un attrezzo inutile”.
Loro però non sono mai curate quanto le BINBI PRO. Non hanno quasi mai lo smalto, non si depilano ogni giorno, niente bigodini e niente crema pasticcera a merenda. Quando vanno a cena la torta la comprano in pasticceria.
E io che agogno a diventare una MITICA, come faccio? Qual è la vera posizione vincente?
BINBI o NO?
Mi sento già molto fiera all’evidenza che so cosa sia. La prima volta che me l’hanno nominato pensavo fosse un amico pariolino della mia amica casalinga. “io il binbi lo adoro” tipo “io e le mie amiche Samy, Simo, Nico e LallY”. Allora è meglio stare da soli.
Samy Simo nico e lally mi sembrano la versione stronza delle WINX e poi , con Binbi che subito ho immaginato come lo sfigato amico delle donne, ancora peggio.
Che faccio? Come la mettiamo?
Adesso sono in piena crisi.
Dopo le pattine (che ormai uso come fossero fiammanti jimmy chou), dopo quel cazzo di spolverino che sembra un pechinese che si infila tra le mensole e cattura la polvere, dopo il mocho vileda e lo spruzza profumo che spara al passaggio umano, dopo la pentola a pressione (che rende pappa qualsiasi cosa ci metto dentro e già mi è esplosa due volte per colpa del minestrone leggerezza dell’orogel, che ha il prezzolo tritato e tappa la valvola di sicurezza), dopo il caldobagno de longhi che ho appeso in alto e quindi non scalda una minchia, dopo la piastra alliscia capelli agli ioni attivi e in ceramica, dopo le presine in lattice… questo dilemma non ci voleva proprio.

E pensare che io ancora valutavo di prendere il bravo simac.
Quanto sono out.

Io ce lo so, eccome.

nella vita bisogna imparare a non prendersi troppo sul serio, e anche a lasciar andare le cose.
Crediamo di vivere questa vita difficile, aggrappandoci ai pensieri arrovellanti su come superare i problemi, come fare soldi, come vivere felicemente la propria condizione di marito, moglie, figlio, madre, sorella, cugino, collega, amico, professionista, creativo, dipendente, giovane, vecchio….
E mentre ci perdiamo nelle mille (e spesso inutili) congetture, ci dimentichiamo che dovremmo solo ringraziare con un unico pensiero: “che fortuna sono sano e oggi è qui, a mia completa disposizione”. La verità è che non ci rendiamo conto di quante cose ancora dobbiamo imparare.
Bisognerebbe viaggiare. Leggere molto di più. Imparare a liberarsi dei vestiti che da almeno due anni fanno la muffa nell’armadio; sorridere almeno 30 volte di più di quanto già non facciamo. Almeno una volta l’anno ridere a crepapelle con qualcuno (o anche da soli). Ballare. Mangiare con le mani anche la bistecca. Imparare un’altra lingua. Bere molta più acqua. Giocare con la terra fino a che le unghie non diventino nere. Sporcarsi. Tagliare i rami secchi in giardino e nella propria vita. Fare pace, e imparare il perdono. La tolleranza.
Ma la verità è che bisogna partire dalle cose semplici.
Che ne so.
Imparare ad esempio l’italiano. O la geografia. La storia, letteratura, arte, politica…in effetti siamo in continua ricerca di risposte ma poi andiamo al ristorante e ordiniamo un cascè coi funghi.
Tanto per dirne quattro.
L'altra volta un'amica mi ha detto che aveva problemi con la safena. "deve essere una stronza, con quel nome". "è una vena" "ah". figura di merda.
la potevano chiamare in qualche altro modo.
che ne posso sapere io. mica sono un medico. un pò come l'ipotalamo. "vive in stretto contatto con i coccodrilli". "no, quello è l'ippopotamo". mere formalità. basta dire "vabbè hai capito il senso, no?".
Ricordo una volta un'altra amica si fidanza. Lui era un tesorino, gentile, innamoratissimo, anche se vocabolo-privo.
Inizia a piovere. Lei "amore ma dove vai col motorino! non vedi che piove?" lui: " e che me frega! me metto r kwait."
Anche io una volta frequentai un tipo tosto. una volta ci fermarono per strada due turisti. sbiascicai due parole di francese e poi proseguii in inglese. Mi guardò ammirato. "certo che sei davvero multiglottica".
"ci sarai tu" (l'ho pensato, ovviamente).
"Il regalo più gradito per antonomasia" "ma daaaai??? non ci creeedoooo! non me l'hai mai detto che era spagnola! da quant'è che la frequenti? già je fai il regaloooo???"
Ecco. Non è che si può pretendere che tutti conoscano l'intero vocabolario. ma le basi forse sì.
"la vedi quella?" "beh?" "ha una brutta malattia" "cioè?" "non mangia mai. E' ressica".
Con un’amica in negozio. C’è già una coppia, dentro. Lei scartabella tra le stampelle. Tira fuori una camicia di seta tutta fronzoli. “amò te piasce?” lui storce il naso “maa provo?” lui annuisce annoiato. Esce dal camerino. “amò che disci?” “caruccia” “ma n’è che me ngrassa?” “numme pare”. “boh a me sembra troppo piena de volè”. Io la mia amica iniziamo a ridere sommessamente. Lei poverina se ne accorge. È infastidita, corregge il tiro. “vabbè maa vado a toglie. Tanto nun me piasce, co tutti sti volovan”.
E' un pò lo stesso con la geografia. Io sono la madre degli ignoranti, ma forse qualcuno mi batte. O quanto meno mi sta di pari passo. "mamma, dov'è Potenza?" "amore non lo vedi che sto mettendo le cosce di pollo in forno? insomma posso avere due minuti per fare una cosa sola invece di 5 insieme? puoi andare da tuo padre per favore?" La ragazzina va dal padre. "drin..drin..." "pronto?" "cazzo dimmi dov'è potenza che mia figlia me l'ha appena chiesto e ho preso tempo!"
In america una volta mi hanno chiesto se in Italia avevamo l'acqua calda. Gli ho detto che l'acqua con i muri di fango non ci va d'accordo.
una volta volevo andare in danimarca e ho cercato un volo roma-budapest.
insomma siamo così. meno male che c'è la gelmini così la media si uniforma.
Altrimenti possiamo parlare della storia. così a getto libero: la guerra delle rose. "da pauraaaaa, hai visto alla fine che cadono dal lampadario?" "no, quella è la guerra dei roses".
e la guerra dei cent'anni? "l'ho letto, ma due palle..." "no, quello è cent'anni di solitudine"
Personaggi? luoghi? Arte? Letteratura?
Ulisse... "ma n'è la pizzeria dietro a piazza mazzini? ah dici er cane? no, quello è r cane de mi cugino. il mio se chiama snupi"
Achille... "lo so me lo ricordo benissimo, è quello che ha incontrato gulliver co polifemo. c'hanno fatto pure r firm co brad pit. mo me fai venì r dubbio... c'era pure quello piccoletto? come se chiamava... Golia? che j'ha tirato la pietra e l'ha fatto diventà cieco?"
mesopotamia... "nel film fantasia de wolt disney? l'ippopotama femmina, no?"
il vaso di pandora... "io preferisco comunque le sedie della kartell, se devo spende"
Poppea... "è vero. niente feretto. troppo troppo commodo, anche gli slip nun so male"
Zeus..."nun è che me ricordo molto, stavo troppo fatto. te posso dì che la musica era da paura. solo che a ibiza se paga sempre troppo p'entrà ai locali"
Attila... "e come no? mitico! com'era...Io sono Attila: A come atrocità, doppia T come terremoto e tragedia, I come ira di dio, L come laco ti sangue e A come adesso vengo e ti sfascio le corna.."
il Tigri e l'Eufrate? "ma n'era Tigro e uinni pù?"
Vespasiano.. "meno male che l'hanno tolti che puzzaveno de brutto"
Bacco... "io nu me ce so vedè. mejo r beretto, e poi tiene più cardo"
La guernica….”io non ci sono mai stato ma mi hanno detto che di questa stagione ci sono i monsoni. … confina col belize, Guatemala e laos.
Tuolouse lautrec… “quel museo non mi interessa”
La chanson de roland… “preferisco le ultime. Di carlà.”
Il labirinto del minotauro….”questo non l’ho mai sentito. Però forse perché mi so’ intrippato con tomb raider, adesso la playstation poi ne tira fuori uno dopo l’altro! Quindi come se fa”
La shoà… “se dice shoes. Ma a te l’inglese gnente, eh?”
Voltaire, Flaubert, Rousseau…. “preferisco i vini italiani. Quelli francesi me se ripropongono”


d'altronde la coltura me l'hanno imparata a scuola e non è facile da ricordarsi tutte le nozzioni. può anche succedere che quando che ti stai imparando poi ti si intergolano altri penzieri e alla fine le cose le hai sapute sapere ma non ti si inregistra nell'amiddala. perchè mi pare propio che si memorizzano lì le cose che ti hanno imparato.

giovedì 21 ottobre 2010

frammenti di zigulì

Oggi ho frammenti di zigulì da tirare fuori. alcuni pensieri come le bigbabol, i cristal ball, poochie, i giochi, le botte, le punizioni... quindi ....

L’amicizia
Non so voi,
ma da quand’ero bambina ho sempre dato molta importanza all’amicizia.
Ricordo già alle elementari. Andavo in una scuola pubblica nel centro di Roma, frequentata da bambini più o meno modesti. La mia insegnante (purtroppo ora passata a miglior vita) era molto brava e si concentrava moltissimo a stimolare sinergie tra bambini.
E proprio uno dei primi giorni mi mise al banco con una ragazzina (avevamo 6 anni, ma ci sentivamo ragazzine) con i capelli biondi, lunghissimi, con una treccia di quelle che finisce corpose. Per intenderci non come la mia ora che parte a saggina e finisce a filo di lana.
Si chiamava Elena.
Aveva pure gli occhi azzurri. Io all’epoca ero simpatica, molto simpatica, e poi ero buona, generosa, molto intelligente. Se vi è venuto il dubbio è corretto, non ero una di quelle bimbe che ti giri per strada. Innanzitutto sembravo un bambino. Capelli corti, ricci. Occhiali, e scarponcino ortopedico. Si, lo mettevo anche con la tuta, perché non è un caso che nel mio blog citi spesso il tutone. E’ uno dei miei migliori amici. Solo che quando ero bambina avevo la tuta. Ora il tutone.
Comunque. Io e lei, insieme, apparentemente eravamo male assortite. Invece dopo pochi minuti già era amore. Io ero bionda dentro, e lei era un maschiaccio mascherato da bambolina.
Iniziammo questa amicizia nella più piena complicità.
Nei giochi a squadre ci sceglievamo per prime, eravamo molto sveglie e riuscivamo persino a giocare a calcio con i maschi.
Tutto era fantastico. Ogni tanto veniva persino il pomeriggio a giocare a casa.
Siedevamo sul tappeto del salotto e ci concentravamo allo spasimo. Attendevamo che la magia prendesse forma. Si, credevamo ai tappeti volanti.
E non solo. Quando fui invitata in campagna da lei passammo ore a correre nel campo di fronte a casa. Con le braccia aperte, sempre in attesa della magia. Si, credevamo anche che si potesse imparare a volare, con disciplina e costanza.
Non successe.
Ricordo anche che a scuola la maestra diceva sempre che “non si fa la scianchetta”. Io non sapevo bene cos’era ma lo imparai presto. Avevo capito che in sostanza significava mettere il piede come ostacolo per far cadere qualcuno. Però non l’avevo mai provata a fare.
Un giorno mi decisi che dovevo provare. Ci pensai e ripensai. Alla fine mi toccò scegliere la vittima. Era difficile. Ma poi in un lampo tutto divenne chiaro. Come mai non ci avevo pensato prima? Se c’era qualcuno che mi avrebbe perdonato era proprio lei, Elena.
Così attesi il momento giusto. Elena correva come una saetta inseguita da Valerio. Era perfetto. Io ferma al banco, in piedi. Mi chinai un po’, tirai fuori la zampa con scarponcino ortopedico e fu un attimo. Elena inciampò, un volo incredibile. Non solo diede una ginocchiata colossale ma nell’inerzia di un corpo in volo prese in pieno la zampa del banco in fondo. Con la fronte.
Quanto pianse. Mi guardava rossa paonazza, piangendo come pazza e con il dito puntato su di me. Io rimasi impassibile, ero certa che lei avrebbe capito. Credo di aver vissuto proprio in quel momento quello che si chiama viltà. Sotto sotto mi prese il dubbio di aver sbagliato qualcosa. La sua reazione era troppo discostante dalle mie previsioni. Comunque feci assolutamente finta di niente. Da dietro i miei occhialoni guardavo come se fosse un film.
La portarono di corsa in infermeria. Tornò dopo un’ora ma non la potei guardare in faccia.
Primo per la vergogna, secondo perché ero in punizione dietro la lavagna, faccia al muro.
Quello fu solo l’inizio della fine.
Neanche il tempo di ritornare in confidenza entra la maestra della classe accanto. Fa un appello a metà. E in un batter d’occhio io e la mia amica del cuore ci ritroviamo divise. Lei cambiò sezione, così, senza preavviso.
Piangemmo abbracciate, fu straziante. Il tempo del perdono e quello dell’addio si fusero in un momento di tragica solennità. Ci promettemmo che ci saremmo viste sempre, a ricreazione. Fuori scuola.
Già dopo due giorni l’amore era come dimenticato. Io conobbi Anna, lei Claudia.
L’amicizia dei bambini è fantastica.

Minacce e punizioni
“lo sai che ora io ti faccio menare da mio fratello che è grande cooosìììì????” “….io ho un cane doberman che se ti prende ti uccide come uno squalo e poi ti ingoia e tu poi diventi tutte budella e cervello e caccole…..”
Nelle minacce dei bambini si nascondo tutti i tabù e i desideri di generazioni.

“se ti comporti male viene a prenderti l’uomo nero” brave mamme! E poi scopriamo che gli analisti guadagnano un botto di soldi! Ve la ricordate, c’è pure la canzoncina agghiacciante: an ghi go questo bimbo a chi lo do… se lo do alla befana …se lo tiene una settimana…se lo do all’uomo nero… se lo tiene un anno intero”.
A sto punto io ci aggiungerei un nuovo mito. Il signor Euclide. Che prima lo mena e poi lo uccide.
Non so.

Mi ricordo perfettamente le minacce. Ti chiudo in camera. Questa era in generale la mia preferita. Delle volte che ha preso forma ne ricordo due. Una volta ero forbici dotata. Grave, grave, grave errore. Fu un attimo che diventai parrucchiera. Feci taglio e messa in piega a tutte le bambole, alcuni pelouche, le barbie e me stessa. Mi tagliai i capelli come le centraliniste di star trek. Con la francia a finestre tonde, per intenderci. Quando mia madre entrò non aveva uno sguardo rassicurante. Io invece ero così fiera. Per farle capire che lavoro di fino avevo fatto mi ero anche dipinta le braccia di blu col pennarello (se vi ricordate le centraliniste di star trek avevano i capelli blu, e questo mi creava qualche difficoltà per cui le braccia blu era comunque un compromesso accettabile).
La prima volta però la combinai appena appena più grave. Mi lasciò in stanza circa due ore. Tirai fuori qualsiasi cosa da qualsiasi cassetto. Vestiti compresi. Mi provai tutto, giocai con tutto. Ma poi finii con l’annoiarmi. Due ore per un bambino sono eterne. Quindi decisi di passare alle cose proibite. E mi infilai nella narice destra una una di quelle perline giganti per fare le collane. Di plastica. Era rossa. La infilai proprio dentro. Se c’era una cosa che avevo inesistente, all’epoca, era il naso. Quando capii che il procedimento inverso all’infilare era molto molto molto molto più complicato decisi di non proseguire con l’altra narice.
Dopo circa mezzora avevo una certa irritazione.
Mia madre rientrò e trovo sua figlia con una mega narice infiammata grande come una cialda del nespresso.
Non voglio entrare nei dettagli di come fece a tirarla fuori.

La realtà bambina
E non solo. I bambini hanno una visione completamente diversa dagli adulti.
A scuola si sente puzza di numero 2.
La maestra gira per i banchi in cerca del bimbetto che non ce l’ha fatta e ha ceduto allo stimolo senza andare in bagno. Il ragazzino viene beccato.
“massimo, tesoro, perché non sei andato in bagno?”
“maè, ma se i gabbinetti so pe le donne io do la potevo fa, la popò?”

ancora. Avevamo il sillabario. In pratica una cartellina piena di taschine, ognuna delle quali riferibile ad una lettera e relativa figura. A con l’asinello, B con banana… etc.
“bambini per domani mettete almeno 10 lettere nelle taschine”
il giorno dopo
“danilo, ma non hai messo neanche una lettera nelle taschine?”
“tutte le ho messe”
“no, guarda qui” mostrando il sillabario vuoto.
“no, maestra io tutte qui, le ho messe” e dalle sue taschine dei jeans tira fuori una caterba di cartoncini.

Ma il top è un amico di vecchia data.
La purezza del bambino supera ogni limite.
Campeggio attrezzato con ettari di villeggianti. In Toscana.
Il bimbo, due anni, si allontana e si perde.
Inizia a piangere, girando come un disperato. Lo prendono e lo portano alla reception, dove con un impianto a filodiffusione trasmettono con gli altoparlanti, sparsi per il campeggio, l’annuncio.
“il bambino Marco si è perso, i genitori sono pregati di recarsi in reception”
“tesoro vuoi dire qualcosa?” il bimbo annuisce
“ciaaaao, sigh, io sono marcoooo, sigh, mi sono perso… sigh, E DEVO FARE LA CACCAAA!!!”
I genitori ancora ridono, e con loro tre quarti del campeggio.

Mangiare
“finisci di mangiare, pensa ai bambini poveri”
“mamma ma non possiamo spedirgli quello che avanza?” il bambino questo discorso non lo capirà mai. O voi genitori glielo spiegate in un altro modo o lui penserà che lo state prendendo in giro. Posto che per un cucciolo di uomo tutto è possibile non si spiegherà mai per quale motivo vi ostinate a farlo mangiare controvoglia quando si potrebbe tanto bene fare un pacchettino e inviare tutti gli avanzi ai bambini poverini. Il bimbo pensa subito “se io lascio e tanto ti dispiace per i bambini poveri magnatele te le cotolette fredde che si sono pure ammosciate e le verdure che mi fanno schifo da morire. Dammi due kinder, tu mangi tutto il resto, e magari se invece di farmi un piatto da bufalo spendi di meno e mi fai andare da mc donalds che con l’eppi mil ci prendo pure il pupazzetto.

Ricordo che quando ero piccola odiavo la carne. Mi faceva letteralmente schifo. Così incredibile ma vero la finivo in un boccone. E poi scattavano le punizioni (vedi sopra). Perché? Perché i bambini sono furbi. Ma non abbastanza. Il piatto vuoto, e il pavimento pieno.
Buttavo tutto per terra, pezzetto pezzetto. Se mi diceva culo quando ero ospite c’era un cane. Sennò masticavo a bolo e poi in tasca.

Poi avevo il brutto vizio di assaggiare. Tutto. Così prendevo un biscotto, gli davo un morsetto, e lo rimettevo nella scatola. Prendevo una mela, gli davo un morsetto, e la rimettevo nella fruttiera, prendevo una caramella, gli davo un morsetto e poi la rincartavo. Prendevo un cioccolatino, gli davo un morsetto, e lo rimettevo nella scatola.
E così via. Qualsiasi cosa fosse commestibile a casa mia aveva “il morsetto”. Poi venne mia cugina ospite. Mi chiese un biscotto, e le capitò quello col morsetto. Mi chiese una mela, idem, mi chiese un cioccolatino, e poi una caramella… a quel punto decise che doveva insegnarmi a non farlo più. Ho ancora i segni. Mi si avventò sulla ciccia vicino all’ascella. Licantropa del cazzo.

Su mia cugina però mi rifeci.
Il gelato ce lo compravano insieme. Cornetto io cornetto lei (poi mica era come ora, con mille scelte). Solo che io in circa 5 minuti avevo finito, culetto compreso. Lei invece era lì che ancora sleccazzava la corona di nocciole e cioccolato. E con il suo gelato in mano, pressoché intatto, mi guardava della serie “tu hai già finito??? Io nooooo, mmmmhhhh, che buonooooo” e poi mi diceva la frase stronza: “te lo farei assaggiare, ma tanto già lo sai di che sa, perché hai appena finito il tuo!”. Quindi dopo un’estate fatta di 4 mesi, ogni giorno un gelato, fatevi i conti.
Verso i primi di settembre tornammo a casa lei urlando io muta. Ho fatto una mossa da karateca. Azzannata laterale sinistra e scippo sulla mano destra con gelato, doppio morso braccio sinistro e subito dopo corona di cioccolato e nocciole del cornetto e poi riposizionamento del tutto con gelato in mano. E poi fuga.
Che gusto. Fu lì che iniziai a capire la legge della violenza.

La moda
Il concetto di moda e trends varia moltissimo a seconda dell’età.
Un aneddoto su tutti. Quello che a pensarci mi sento male. Dicembre, poco prima di natale.
Mia madre purtroppo non era una divina. Non era Casalinga. Lavorava. Quindi chiese alla filippina di allora di lavarmi, vestirmi e portarmi da lei in ufficio. Dovevo andare dal pediatra.
E così fece. Mi presentai al negozio tutta linda e pulita. Cappottino blu, camicia bianca, maglioncino rosso, kilt rosso(all’epoca andavano, mica è colpa mia) e calzettoni. Ancora me la ricordo che sbianca. Mi guarda, si gira verso quella poraccia emigrata e se la magna. Lei piagnucola qualcosa tipo: “…no signoa, io tanto provato…ma bambina no boleba, no boleba propio…tanti tanti caprici… lei deto che tu metti queste, signora, che ba bene…”

Ai piedi avevo pensato che fossero perfette, per una visita formale dal dottore, un paio di espadrillas di pezza gialle con zeppa, regalo di nonna per l’estate, con i lacci rigorosamente avvolti dal piede al ginocchio.

Lo pensai. “questi adulti di moda non capiscono proprio una mazza”


a presto!

mercoledì 20 ottobre 2010

come vincere virus e battaglia

Oggi sono malata.
Malatissima. Da cosa l’ho capito? Ho i piedi freddi.
Ridete pure. Ma mica è da sottovalutare. Tutte le più gravi malattie all’inizio vengono prese sotto gamba. E i piedi freddi non sono affatto un bel sintomo.
E i brividini? millepiedi che mi scorrono tipo freccia rossa (senza stop a firenze e bologna) dalla testa alle caviglie (ho detto che i piedi sono freddi, forse ormai anche estranei alle sensazioni del resto del corpo).
Quindi quando mi sono svegliata sono rimasta nel letto. Ho fatto finta che la sveglia non suonasse, ho rischiacciato il tastino del cell che tra le righe ti chiede “ti rirompo i coglioni tra 10 minuti, ok?”
E mi sono girata su me stessa. Per vedere se le funzioni vitali c’erano tutte. A parte i piedi ghiacciati anche il naso era freddo. E le orecchie. La carica dei 101 mi fa una pippa. (questa è finezza comprensibile solo per chi ha memoria o bambini… uno dei 99 cammina nella neve e ha freddo…).
Dopo vari tentennamenti, tentativi di tosse (non ce l’ho ma si deve provare, per essere sicuri che non basti un “la” per scatenare una broncopolmonite), stiracchiamenti vari e autopalpazione del seno decido di alzarmi.
Ma siccome sono malata non mi alzo come al solito, fulminea. Mi rotolo con cautela sul fianco, testa ciondoloni, acchiappo la carne in eccesso alla base delle ginocchia, trascino le rotule fuori dal materasso, con delicatezza sistemo i geloni (ndr. I piedi ormai per me da amputare) sul freddo simil parchè (sì, perché a casa, essendo in affitto, non ho investito. Sembra parchè ma è linoleum, fantastico. Molto fine anni 70, cioè quando le case le facevano con il gusto di merda).
Poi spintarella, botta di reni, spinta in avanti, aggrappamento alla ringhiera (dormo in soppalco, come le 15enni quando i genitori per farle sentire grandi gli cambiano la stanza e gli mettono il letto a una piazza e mezzo nel soppalco), e poi una mano sulle reni e una che teneramente afferra i capelli per raddrizzare la testa che sino ad allora era rimasta ciondoloni.
Quando si sta davvero male, e comunque per darne contezza a chi si dovrebbe preoccupare per te, una tecnica che funziona e che suggerisco è il filo di bava. Con la testa ciondoloni poi viene perfetto. Nessuno avrà mai il coraggio di dirtelo, ma subito pensano: “porella ma allora sta davvero male…”.
Poi, da malata, tutto diventa difficile. Anche scendere le scale del soppalco. Quando si è malati, a prescindere se ci sono spettatori, ci sono delle regole da seguire.
Innanzitutto bisogna lasciarsi andare. Il corpo è fuori controllo, è impegnatissimo a combattere il virus, quindi non si devono imporre regole che distraggano la battaglia in corso.
Scappa puzzetta? Si fa! Senza remore, di fronte a te stesso od altri.
E’ come se in battaglia parte dei soldati sono richiamati per chiudere il portone del castello perché c’è vento! Che il vento faccia come vuole, entri, esca, scuota, irrompa. La battaglia è più importante.
La discesa dalle scale deve essere particolarmente sofferta. Il freddo attanaglia, ma prima di tutto, anche a costo di doverle risalire, bisogna aiutare l’organismo nella lotta.
Quindi, a prescindere dagli stimoli, quando ci si sveglia malati come me questa mattina si deve orinare e fare numero 2 (così la chiamano, in america, la pupù) (manco fosse un’onta. Voglio dire, la fanno tutti, perché vergognarsi).
Nel mio caso questa mattina ho chiuso un occhio. Anche perché c’è tutto un calcolo di opportunità.
Visto che numero 2 non voleva saperne ho fatto pipì e valutato che la posizione non avrebbe affatto favorito la circolazione già scarsa nelle gambe. Quindi ho deciso che avrei cambiato strategia.
Date certe condizioni è lecito prendere altre strade.
Quindi la visita allo specchio. Lingua, frenulo, tonsille con paletta (non avendone a disposizione consiglio la lima per le unghie). Tastata di occhi (semplicemente schiacciare i bulbi fino a vedere delle figure nello sfondo nero) ghiandole sotto al mento, tutte, prima a destra poi a sinistra, dita nelle orecchie (è normale provare dolore, ma è proprio quello che stiamo cercando, no? Dove si annida il nemico). Schicchera sul pomo di eva (noi quello di adamo non lo abbiamo), ascelle e inguine. Tutti i punti dove ci stanno le basi militari (I linfonodi, no?) (voglio credere che queste siano informazioni di pubblico dominio, spero).
Una volta controllata la situazione (se le condizioni lo permettono suggerisco anche autoscatto con cellulare dell’incarnato da inviare a parenti ed amici per un ricordo poche ore prima dovessero insorgere complicanze), bisogna immediatamente agire sul look.
Una malata, infreddolita e debole, non può e non deve restare in pigiamino. Perché la debolezza porta alle classiche disattenzioni da chiappa semi scoperta dopo il vater, e perché il piede gelone deve assolutamente scaldarsi.
SI sa che i piedi freddi sono davvero un brutto auspicio.
Quindi, con più flemma (dopo aver evacuato i liquidi si è ancora più deboli) si riprendono le scale.
In caso di spettatori, per meglio rappresentare lo stato di malessere è opportuno lasciarsi cadere al primo gradino e salire a quattro zampe. I primi tempi proveranno ad aiutarvi. Bisogna sibilare “nnn..nnn…nnnoooo gggrrr….gggrrrraa…zzz zzziiieeee….cceee llaaa faaaccc…faccc..ccciooo”.
Direi qui fondamentale e in possibile aumento il filo di bava.
D’altronde si sa, quando si sta male nessuno è lì per giudicarti.
Fronte armadio. Il più classico dei consigli è prepararsi per affrontare una vera e propria battaglia contro un nemico insidioso e con mille risorse.
La vestizione è rigorosamente a cipolla.
Si parte con mutandone di cotone bianco. Deve essere grande. Consiglio (ed è inutile sorridere perché di esperienza ne ho) a prescindere se siete maschietti o femminucce di far aderire un assorbente esterno di quelli old style, (quelli grossi da notte) (se siete maschi e non li avete chiedete e vi sarà dato). Alle volte un semplice raffreddamento può far calare l’attenzione sul basso ventre e magari mentre vi soffiate il naso basta un niente che …zac!).
Se dovete giudicare mi fermo. Io lo dico solo per voi, in fondo sto solo condividendo le mie tecniche, tra l’altro sempre state vincenti.
Allora continuo.
Mutandone, assorbente…canotta. Se avete la liabel è perfetto. In caso contrario sconsiglio la canotta di lana. Quindi purtroppo una brutta notizia. Per equiparare la liabel dovete metterne tre. due di cotone, e una di lana. Poi fate come vi pare, ma io stamattina ho fatto così.
Ho messo i gambaletti graduati (aiutano la circolazione), ma per i piedi vale il contrario della liabel. Prima i calzettoni pesanti di lana (se li avete da sciatori, meglio. Io li ho.) POI il gambaletto graduato. Il trucco è lì. Devono spurgare, riattivarsi. Quando avrò finito di condividere con voi le basi di un abbigliamento congruo alla malattia vi darò anche qualche dritta in più.
Di solito, visto che il anche il look vuole la sua parte (ci ho sempre tenuto ad apparire carina e non è certo un banale malanno che mi allontanerà dal glamour) di solito per vezzo sul gambaletto indosso anche i calzinini da tennista con pon pon dietro. Oggi però la condizione non lo permette. I piedi sono davvero molto preoccupanti quindi dovrò passare alle maniere forti, poi vi dico.
Per le gambe è importante che almeno una parte resti all’aria. Quindi ho indossato un paio di pantaloni alla zuava. Li ho dall’infanzia ma sapevo benissimo che buttarli sarebbe stato un grave errore. E’ importante prendere aria perché da lì scenderà il sudore. Tra l’altro sono a vita molto alta quindi ottimi per le reni.
Sulle tre canotte questa mattina ho messo un paio di magliette a maniche lunghe, una camicia di seta un maglioncino di angora (sempre per il look e poi è così morbido) e il giacchino di renna.
Ovviamente la cosa migliore è mettere un passamontagna calato sul collo. Se la febbre sale non si dovrà rovistare ovunque, è già lì pronto per l’uso. Stamattina ho deciso di farne a meno. Comunque siccome non voglio farmi cogliere impreparata per le prime ore ho messo il colbacco di procione (me l’hanno regalato quando ho contribuito alla ristampa del manuale delle giovani marmotte e neanche immaginavano quanto mi sarebbe stato utile).
Finalmente mi sento un po’ più a mio agio.
Mancano giusto i dettagli.
Adesso se si è da soli si scende con molta molta lentezza.
Se ci sono parenti ed amici è meglio, sempre per condividere senza lasciare dubbi sullo stato di malattia, sdraiarsi sulle scale e rantolare giù. Tanto con tutti i vestiti non vi fate neanche male.
Io oggi ero sola quindi sono scesa con filo di bava.
Ho messo due o tre scottex sul petto, mi sono coricata sul divano con una bella coperta e mi sono presa 4 tachipirine.
Ovviamente ho iniziato a sudare. Ma i piedi niente. Freddi come il ghiaccio.
Ma le battaglie si vincono con la pazienza e l’astuzia. Col passo del giaguaro (e lasciando evidenti tracce di bava e sudore (quest’ultimo come vi ho detto – e poi mi danno dell’esagerata – sgorgava proprio dalla fine del panta a zuava prima del set calzini) e sono andata nel sottoscala.
Ogni anno commetto lo stesso errore. Metto via la roba della montagna.
Inguaribile romantica che crede di non ammalarsi più… Trovati e messi ai piedi.
Ora voglio vedere se con i moon boots i piedi restano freddi.

Tra la vestizione, la sudata, il saliscendi le scale qualcosina si è smossa. Provo a soffiarmi il naso ogni 4 minuti. Tossisco ogni 10. tutto perfetto.
Mi misuro la febbre, la pressione e per scrupolo anche la glicemia (me l’hanno giurato, i medici, che non sono diabetica ma vai a sapere).
Di febbre ancora nulla. Ma è un classico. E’ proprio così che si resta fregati. Tu sei convinto che il nemico è debole e invece te se magna piano piano.
Quindi monitorizzo tutto. Febbre e pressione ogni 16 minuti, intervallati dai 10 minuti che ci mettono i termometri. NO, cari. Non uno. Di termometri se ne dovrebbero sempre mettere tre. Uno sotto l’ascella, uno in bocca e uno dove si fa numero 2. E’ inutile che vi dica che è melius abundare quam deficiere.
Poi pausa di 10 minuti per glicemia e pressione, e di nuovo riparto con i termometri.
Diciamo che così facendo hai un controllo totale sulle funzioni vitali.
In effetti manca ancora qualcosa.
Non mi prendete come eccessivamente pierina, ma se numero 2 non si è sbloccato il processo di guarigione rallenta in modo esponenziale. Quindi per pranzo thè amaro con limone e parmigiano (antico rimedio della nonna contro la dissenteria e il vomito) e un intero pacchetto di halls mentolyptus forte. Sbloccano le vie respiratorie. Metto a bollire i semi di lino (per gli impacchi sul petto) (di solito per non restare bloccata in posizione supina infilo in un sacchetto di cotone, poi in una busta e poi con lo scotch attacco al petto nudo e ricopro. Ovviamente se ci sono ospiti tendo a fare due sacchetti e li appiccico ad altezza tette, così esalto le forme).vics vaporub su mento fronte e sotto narici, due purghe naturali ed attendo l’evacuazione.
Devo dire che per le quattro ero quasi distrutta.
Ho vinto tutte le battaglie. Anche i piedi si sono arresi. Quando ho tolto i moon boots ho visto che il rimedio funziona. Tra i calzini e i doposci se non vi basta uno dei rimedi più classici è la busta della gs. Però come strategia la suggerisco alle prime avvisaglie di febbre.
Sono le sei. Mi sento molto provata. Ma so perfettamente che ho vinto la battaglia. Lo sento. Il nemico ha capito contro chi si andava a scornare.
Quindi adesso non mi resta che riposare un po’. Una mezzora.
Poi come alla fine di ogni battaglia si festeggia. E anche se si è esausti bisogna alzare i calici.
Quindi adesso vi lascio che devo raggiungere le amiche in birreria.
Non mi cambio. Mica mi vergogno. Non bisogna sentirsi a disagio, se ho le armi per sconfiggere le battaglie lo devono sapere tutti.
A domani.

martedì 19 ottobre 2010

sceip ap.

una settimana fa mi sono comprata le scarpe da ginnastica che in teoria mi faranno diventare brasiliana
nel giro di un paio di mesi (dallo spot pensavo un paio di giorni ma mi sa che in quel caso ci vuole lo zampino del buon Gesù bambino) (magari se mi ascolta per natale chissà)
Hanno due pallette sotto la pianta del piede.
sono comodissime. le ho portate con il tailleur. mi sentivo come i visitor. apparentemente normale e poi dal dettaglio (i visitor avevano la lingua biforcuta) si capiva che erano farlocchi.
Idem per me. semi-impeccabile e poi la scarpa tozza, agghiacciante, con qualche sprazzo di vernice sparsa qua e là.
quindi diciamo che dopo il primo giorno ho deciso di indossarle solo nel tempo libero.
Questo ovviamente ritarda notevolmente gli effetti "culo a pizzo", visto che il mio tempo libero lo passo
in stato di catatonia tra letto e divano. e per quei due metri non mi metto mai le scarpe.
Pensavo di scrivere alla casa di produzione per chiedere se possono fare le ciabatte. così forse le uso di più.
Comunque per tutta la giornata in cui le ho usate mi sono sentita una vera strafiga.
camminavo un pò charmant ed ero particolarmente motivata.
Ho stampato mille documenti e me li sono andati a prendere, non ho preso l'ascensore e ho pure parcheggiato la puledra lontano.
Se fossi una mitica probabilmente le userei molto di più. vuoi mettere coniugare le faccende domestiche con le scarpe "culoalzatidaidaidai"?
ma non si possono avere tutte le fortune.
Comunque non mi è bastata.
In realtà sono anni che promuovo a spada tratta le scarpe a gondola. quelle con la suola completamente tonda.
che quando ti fermi a parlare con qualcuno dopo un pò lo vedi verde con i conati, effetto mal di mare.
Si perchè,con quelle scarpe, mica ci riesci a stare fermo un secondo. Oscilli. Avanti e indietro, laterale destra, sinistra.
E i tuoi muscoli lavorano, lavorano, lavorano.
Ma ancora niente rispetto ai risultati che mi sono prefissa.
quindi il tema è SCEIP AP. molto americano, tradotto in romano "famose r fisico".
Però, tirando i remi in barca:
sto seduta per 10 ore al giorno davanti alla GSMP (giga scrivania mega pupù)
bevo sì e no un bicchiere d'acqua ogni 2 giorni
mangio solo carboidrati
la frutta questa sconosciuta
mi piacciono da morire i grisbì e qui c'è un distributore che li mette allo stesso prezzo dell'acqua
l'aperitivo è il mio migliore amico
se vado al ristorante non ce la faccio a rinunciare allo gnocco
domani potrei non esserci quindi mi godo gli sgoccioli di questa esistenza, ogni giorno
se mi metto le scarpe che mi consentono lo sceip ap divento disoccupata

quindi?
mi tocca cacciare fuori il portafoglio, trovare il tutone, e sudare in palestra.
già mi vedo. scoordinata, sudaticcia, completamente fuori moda (e fuori tempo) che inseguo le figure riflesse sullo specchio per stare al passo.
Non so voi, ma quando mi dedico al corpo non è che posso usare la mente (già comunque piuttosto malandata dalle 10 ore incollata alla sedia - per carità, di pelle umana). e quando mi è capitato di fare le lezioni di aerobica è finita che sono uscita dalla sala con la colite spastica. perchè?
l'insegnante è figa per antonomasia. anche se alle volte è tracagnotta, volendo darle un pizzico non ci riesci. rispetto a me, che al mare sembro un creme caramel, già mi urta.
poi ci sono le assidue. Confronto il mio tutone con i loro leggings rosa fucsia (il termine è antico, a sto punto chiamiamoli come li conosciamo. fuseaux detti fusò o per le bore i fusoni). E' ovvio che il confronto è impietoso. Poi il mio tutone ha pure le tasche sui fianchi, quindi è proprio in partenza che non va.
Loro sono perfette. Neanche sudano. Dei cloni abbelliti dell'insegnante. un duè, un duè, piega, du trè, alza un du, gira un du trè... si muovono agili. destra sinistra sinistra giro destra giro sinistra piroetta e già dentro mi parte il primo "ma vaffanculo, va".
scurrile, rosicona.
Quelle volteggiano e io mi concentro per ricordare i passaggi. "mo cazzarola devo salire sul fregno oppure devo fare la capriola con i capelli che mi si impigliano alla cavigliera?"
l'insegnante mi guarda e davanti a tutti incita "forza, concentrazione, stendi la gamba".
io non so neanche dov'è, la gamba. secondo me anche dentro di me è in corso una rivoluzione.
la gamba ha mandato a quel paese sia il tappeto che il braccio destro. quindi ora non si parlano e tutto è un gran casino.
comunque non demordo. e poi mi accorgo che sono sudatissima. guardo le altre. anche loro. ma. ma. dopo il sudore aerobico ci sono glutei e addominali. e loro dal nulla tirano fuori asciugamanini in microfibra, felpette di voile tecnico anticervicale, bocce di ghetoreid. io non ho niente. sono in canotta, zuppa fradicia, col tutone appiccicato alle cosce e uno spasmo al polpaccio.
"tappetini, pesetti, forzaaaaaa" urla come un'ossessa. "ma statti calma stronza che ti pago pure" (lo penso, non lo dico ma credo che anche la gamba in spasmo sia d'accordo).
io prendo il tappetino. i migliori sono già andati. me ne becco uno mezzo smangiucchiato. di neoprene? o polistirolo, boh. era blu, era dico perchè ora è a macchie, a tratti marrone. mi fa schifissimo.
Le assidue ricoprono i loro tappeti con i loro ritrovati dell'ultima generazione, e si sdraiano a pancia sotto.
"glutei. mani sotto le anche, sollevate le gambe. conto fino a 20".
io, faccia a terra, corpo spiaccicato sul tappeto fetido che puzza di guantoni da box (se non avete mai sentito l'odore fatelo, dopo quell'esperienza le casalinghe puliscono lo scolo della doccia senza battere ciglio). ogni secondo la mia faccia si avvicina di più al tappeto. al suo 19 sono cheek to cheek con quello zerbino di merda.
ma almeno non vedo nessuno. i bambini piccoli sono convinti che se si coprono gli occhi gli altri non li vedono. io uguale. mi prende a ridere. mi sento peggio di una foca ritardata.
poi gli addominali. con la colite che mi monta è tutto più difficile.
starnazzo, sono viola in faccia. ho le gambe piegatissime e un crampo alle dita del piede. loro, le assidue, sono lì che soffiano via il fiato. io sono ormai in apnea da almeno 4 minuti.
Lo streccin. la parte che ovviamente mi piace di più. dopo un pò ho quasi freddo. e mi sento che puzzo di tappetino. loro si accovacciano sulle gambe. mi viene in mente amici miei, quando chiudono la contorsionista nella valigia. io a malapena tocco le punte delle scarpe.
l'applauso finale. "va rivai a quel paese, manco fossimo chorus line, cretina coi polpaccioni" ecco cosa penso. sudare, e ok, coordinamento, ci può anche stare. ma imparare a memoria una sequenza lunghissima di movimenti da fare, tipo balletto, no. anche perchè le assidue forse non fanno un cavolo nella vita, ma il mio cervello è già pieno di roba da ricordare.
e poi mica finisce qui. c'è la parte "mi umilio in doccia".
loro chiaccherano nude della nuova pillola e mentre si spalmano chilate di somatoline su quelle zampette secche tipo ramoscelli anabolizzati, io dove mi giro mi giro mi sento che la cellulite ha voglia di comunicare con loro e si acuisce. quasi volesse uscir fuori dalla pelle. da buccia d'arancia a materassone solo per l'imbarazzo. loro si conoscono tutte. mi ignorano completamente. eh si che ingombro.
mi sbrigo, mi rivesto. mi guardo allo specchio. cazzarola. sono proprio carina. vestita con le cose normali.
l'unico problema è l'effetto panda rosso causato dall'apnea. ho due cerchi viola intorno agli occhi. acchiappo il phard. uniformo. esco fuori come se avessi un angioma diffuso. ma ho seguito, anche oggi, il mio programma SCEIP UP.
quasi quasi mi rimetto le scarpe con le palle e al rogo il fitnes.

lunedì 18 ottobre 2010

Le donne sono devote. Gli uomini singol.

Le donne sono devote non solo nei panni delle MITICHE (le casalinghe).
Eh si. Anche nei panni di amanti sono devote. poracce.
Da non crederci. Devote nel lavoro loro poverine si sacrificano. Ho visto donne con crampi mestruali contorcersi davanti al pc in ufficio e poi correre a fare la spesa e cucinare e portare fuori il cane e lavare il sedere al piccolino (cacca santa, santa cacca, ne fa tanta e puzzolente).
E poi con devozione "amore vuoi un deca?" e magari distrutte passano davanti allo specchio e si sistemano i capelli per essere più "appetitose".
D. La D come donna. Donna come Devota. (anche Demente, ma non fa niente, per ora prendiamo devota).

Chiediamocelo.
Forza. Quante segretarie maschi avete incontrato nella vostra vita professionale?
già che nel gergo comune la parola segretaria ti fa immediatamente venire in mente la sexy bambola che ti porta la tazza di caffè la mattina con il culo sculettante... e se dico segretario? scommetto che nessuno pensa a un sexy uomo con panta attillato mostra-chiappe che ti serve il caffè. no.
tutti pensano al segretario particolare del consiglio dei ministri, al segretario di stato, al segretario del papa.
E di colpo svanisce la percezione della segretaria donna.
Il segretario ha compiti importanti, è influente... è quasi un'eminenza grigia....
la segretaria invece ha gli occhiali, mastica la gomma, delle volte è severa e molto spesso è bona. fa le fotocopie, prenota il cinema e il teatro, dice bugie al telefono quando cercano il capo.

Devote. le donne.
MA CHI VE L'HA FATTO FAREEEE?
Stravolgiamo questi clichés. Vi prego. ditemi se avete avuto contatti con segretari maschi che portano il caffè. che prenotano voli aerei. che si prendono cazziatoni immeritati da manager nevrastenici.
se devono timbrare e 5 minuti di ritardo diventano mezzore di salario mancato.

poi sugli uomini singol lasciamo proprio perdere.
La donna devota, attenta, premurosa, che si organizza per fare il regalo azzeccato a quel becero del compagno/marito/fidanzato con chi si accompagna?
con l'uomo singol.
quello che non è quasi mai brutto come fantozzi ma che dentro è uguale uguale a lui. l'anima a rutto libero.
quello che mentre guardi la tv si mette le dita tra i piedi (nella migliore delle ipotesi). come se fosse SOLO.
SINGOL. Quello che si organizza la giornata e solo al tiro di piatti (dopo averti detto ripetutamente che sei una rompipalle) si accorge e dice "bastava dirlo con calma che non ti andava di vedere 6 ore di calcio e formula uno e moto mondiale. quello che al compleanno ti tira fuori una serie di pensieri meravigliosi (avevo visto un colliè di bulgari stuuuupendo) (non so se ti sarebbe piaciuto, sei così difficile...)
e quindi? mani vuote. tanti pensieri, fatti pochi pochi.
L'uomo singol ti adora, o almeno adora di te l'idea. e adora la devozione. poi gli passi due o tre volte davanti alla tv mentre guarda la partita e si accorge che esisti. ma era meglio di no.
Attenzione. l'uomo SINGOL non è cattivo. ti ama davvero. ma è rutto libero dentro.
"amore ma se non sono spontaneo con te..."
e alla fine ti convince pure. Ma c'è sempre la genesi, per rincuorarsi. non quella della bibbia, quella dell'inizio della storia. in cui compra fiori, è gentile, addirittura si muove di casa per vederti.
Quello che all'inizio dici "cazzo stavolta questo è uno decente, così premuroso".
NElla genesi sembra che il SINGOL la pensi per due.

La parolaccia è CONDIVISIONE. Per noi Devote è "che bello amore, pensa che meraviglia tutto tutto tutto insieme! i tramonti insieme, le cenette, le spese, i weekend e poi la casa e le serate d'inverno, abbracciati nudi davanti al camino..." per loro condivisione è: "stiamo insieme, ma non mi rompere i coglioni te prego. oh, stasera ci guardiamo rambo rivince ancora. Non ti inventare palle romantiche che lo sai non è il mio genere. no stasera sto a casa sono stanco. no se vuoi vieni tu a prendermi. no questo weekend scartavetro la finestra quindi niente viaggio fuori porta...."

L'uomo SINGOL è un passo avanti rispetto alla Devota. Non ci dimentichiamo della pubblicità della rockford. Siamo cresciuti così. noi. L'uomo che non deve chiedere mai.
Insomma Dio ha proprio fatto una cosa perfetta. Pensa un SINGOL con una SINGOL. o un DEVOTO con una Devota.

Solo che a questo punto sapete che vi dico?
mi converto all'induismo, mi comporto malissimo e se mi dice culo mi declassano nella prossima vita.
e nasco maschio SINGOL anche io.

sabato 16 ottobre 2010

la parrucca

ieri ero proprio determinata.
sarei andata dal parrucchiere, questa mattina.
mi sarei tagliata i capelli.
poi quando ho aperto gli occhi sul telefono c'era scritto "12:06"
adesso mica per niente, ma è immorale alzarsi a mezzogiorno e poi andare a farsi fare i capelli.
se seguo un pò l'istinto delle mitiche (le dee della casa) adesso avrei dovuto già fare cose (che ne so...
preparare il pranzo del sabato, magari dare una passata al bagno e parti comuni, fare la doccia lunga con incremata rigenerante, dare l'acqua alle piante degli operai).
invece sto con un occhio aperto e uno chiuso, caffè nero, cornetto scaldato (piuttosto disgustoso), sigaretta, radio e pc).
Mi sa che ancora devo "evolvermi". eppure alle 9 e mezza avevo fatto capolino nel mondo ma poi ho pensato che il materasso l'ho pagato 1000 euri. e lo uso poco, poco, poco. quindi mi sono semplicemente girata.
e a diventare una dea ci penserò domani.
adesso mi vado a fare un giro magari mi compro qualcosa di molto inutile. così le endorfine da shopping pensano al resto.
e scusate ma non ho tempo per scrivere, visto che oggi mi sento una emo evoluta. quasi quasi mi compro una tinta per i capelli da fare in casa e divento marilyn.

venerdì 15 ottobre 2010

parchè, firiato, attilio e franco.

ci sono momenti in cui capisco di essere in crisi.
uno di quelli è quando mi scopro catatonica a fissare le striscette del parchè.
scritto proprio così. il parchè, o se vuoi, il parchèt.
mi è capitato proprio ora.
eppure sono sempre davanti alla gigascrivania.
sarà che non mi curo di questi dettagli, che continuo a fissare le listarelle (come si chiamano? listoni non sono) a spina di pesce, senza occhio critico.
i miei idoli, ne sono certa, guarderebbero con tutt'altra attenzione.
diciamo che io vedo e loro guarderebbero.
le donne mitiche, le casalinghe, si accorgerebbero di tutto.
polvere, graffi, piccoli segni.
io niente. guardo con i neuroni in pausa pranzo. noto solo chiaro scuro marrone chiaro marroncino scuro maron, marone.
righe, righe fitte, righettine.
e mentre riporto alla luce questi nobili pensieri sul pavimento vengo interrotta da un suono che di colpo mi sembra intollerabile: la ventola dell'aria condizionata.
si perchè qui la regola è che se fa un pò freddo il consulente si conserva meglio. e produce più a lungo.
come dargli torto.
sarà per quello che invece di un professionista qui si ritrovano la copia brutta dello yeti.
mi mancano le racchette ai piedi e il cane da slitta poi posso girare tranquillamente il video di bijork al polo sud.
ho persino i capillari rotti sulle guance, tanto per dirne una.
Eppure davvero, due pattine la mattina, e secondo me ci si sente già meglio.
poi se faccio sport il freddo lo sento di meno.
adesso, dico io, proprio oggi che è venerdì, ti pare che il cervello mi inciampa?
sulle righettine del parchè, pensieri di legno (ho un vuoto, come si chiama il lucidante per le scrivanie che profuma tantissimo di cera pulita?) (santa casalinga, aiutami tu).
scrivo parchè perchè ieri ero in aereo e mi sono resa conto che sono una snob. c'erano due accanto a me.
quando si sono seduti erano due estranei. alla fine del viaggio: gianni e pinotto.
Hanno parlato ininterrottamente (uno sull'altro) per 1 ora e 3 minuti (fino all'hostess che gli ha detto gentile "a presto" sul portellone).
era bellissimo. "è da 'n par d'anni che me so nteso de vino, e debbo dì (debbo è lo sforzo di convergere all'italiano) che sitte posso dà n consijo devi provà firiato." "ma dai, davero? bono? ma l'ho sentito nominà, eh! (bugia). "guarda è de na donna bellissima ma davero è n vino bello bello, magari costicchia ma non se lascia parlà dietro" "grazie mille, oh, simme dici che è bono me fido, me pare che te sei appassionato, no?" "si, so n par d'anni che me diverto. però sitte devo dì sò tanto legato anche ai vini semplici de na vorta. nun c'è gniente da fà. n par de bicchieri de ronco a cena numme li leva nisuno" "e daje, davero. io per esempio sò nnato a trovà na cantina daee parti de frascati che mò sta a annà forte" "ma che me stai a dì aa casa der sole? e come no! l'amministratore è n'amico!"

e giù di lì. se fossi arrivata a metà viaggio non avrei scoperto che:
1) ronco lo bevono sul serio, quello nel tetrapac e a quanto pare non deve essere neanche malaccio
2) i due erano estranei. a metà conversazione sembravano cugini.
3) il desiderio di identità con l'altro li aveva resi due cloni. e in piena sintonia.
Della serie "comunque.... nun te crede..... (sguardino paraculo) e l'altro "e che no? oo sò... oo sò". oggetto del pezzo di dialogo? boh. io non lo so, l'altro neanche. ma lo sguardino ha fatto la differenza.
i due si concimavano a furia di "non esistono più mezze stagioni ma siccome semo paraculi noi c'avemo r  giacchetto 4 staggioni".

la bellezza è stata la fine del viaggio.
"ahò, semo già arivati" "ammazza, è volata propio" "comunque sò attilio" "franco"
"è stato n piacere, eh" "tanto piacere mio".

E QUINDI SAPETE CHE C'E'? detto alla romana, me sò piaciuti tarmente tanto loro rispetto a quei quattro carciofi manager che manco se guardano nell'occhi... che w firiato, w frascati, w il vino ronco, w il parchè e w attilio co franco.

mercoledì 13 ottobre 2010

il risveglio del moicano

ora non so posizionarlo nello spazio-tempo,
ma credo che il moicano sia più o meno indiano,
nemico dei cubois.
quindi anche lui viveva nel faruest.
come noi.
solo che io questa mattina mi devo lavare i capelli.
e questo fa una certa differenza considerando che alle 9 e mezza massimo devo
essere dietro la mia gigante scrivania macigno color pupù.
adesso un conto è la calvizie, e poveri maschietti (questo pare sia il male del
secolo dopo l'alitosi da manager - che credo non mi verrà mai)
un conto è il taglio corto, veloce da asciugare. io ovviamente sono la versione anni 2000
di janis joplin, con capelli lunghi e crespi...
Penso al moicano e mi chiedo :
1. quanto tempo ci metteva a farsi il taglio trendy e poi con quale strumento. Mica c'era jean luis david.
2.quanto tempo ci metteva ad asciugare il chiomone centrale
3. se trovava giovamento per la cervicale.

I miti sono sempre esistiti, ma è anche giusto riportarli un attimino con i piedi a terra.
Anche il moicano si tagliava le unghie dei piedi. si.
anche zorro un paio di volte ha avuto la cacarella.
E superman? secondo voi con quella muta acrilica non aveva qualche pelo incarnito?
e comunque di certo passava ore davanti allo specchio a spalmarsi la brillantina.
Insomma sfatiamo questi miti.
Il mito sono io. che mi alzo anche se tutto il corpo ignora completamente sveglia luce e
impulsi celebrali atti al gesto di alzarsi. (te credo. il corpo, intelligentemente, dice "mica mi devo svegliare per essere utile al mondo, facendo che ne so, la casalinga, no. mi devo alzare per risolvere le magagne di 4 stronzi ricchi. ma va. io non mi muovo". come dargli torto).
Che mi faccio il caffè (un'intera macchinetta) invece di usare le cialde. già questo per me è sport.
Che mi butto in doccia, mi lavo i capelli e poi ci passo pure una botta di piastra.
e poi con la mia puledra bianca scendo nel faruest e sopravvivo al traffico.
e arrivo in ufficio e non è finita lì.
ancora con la pistola che mi fuma entro nella caverna. cerco il badge.
non lo trovo.
ci penso su.
citofono.
rischiando il richiamo.
E la giornata ancora deve iniziare.
e poi stiamo tutti ad affittarci robin hood, il gladiatore, zorro e l'ultimo dei mohicani.
Ma per favore.

buona giornata.

martedì 12 ottobre 2010

ore 20:06 nelle vite parallele.

Un'altra giornata è passata.
ora mi chiedo.
"ma se adesso fossi una casalinga, che starei facendo?"
semplice.
mi immagino così: pantalone comodo, ma non tutone. che non è attraente.
radio accesa o forse il tg.
luci accese, sigaretta nel posacenere e due dita di birra in solitaria.
il tutto condito da un rumore anche un pò fastidioso del filtro, della cappa.
quella dei fornelli, ovviamente (che cacchio te pare che uno deve pure entrà nel dettaglio?).
cucino direi petti di pollo al pompelmo. e di contorno spinaci.
Ma noooooo! non quelli delle buste (quelli che compro io, per intenderci).
Quelli di "ZOLLE". Qui va forte. con 56 Euro a settimana un omino nerboruto ti porta, alla porta,
una cassetta di roba di campo, di stagione. e anche le uova, i formaggetti, e se paghi di più pure le composte.
(dialogo tipico "ma daaai! anche tu Zolle???" "sarà che mi stufa un pò... sempre quelle verze, però è di un comodooooo")

non divaghiamo. dicevo. mentre il petto si indora io apparecchio.
Nella mia accezione romantica di casalinga mi immagino magra, saltellante e con un incarnato tipo manga giapponese.
La fantasia è davvero pericolosa.
comunque zompetto in sala da pranzo/angolo tavolo o come cavolo sarà (ancora non ho idea), e apparecchio per...
direi 4.
Adesso non stiamo a puntualizzare nomi e ruoli. diciamo che una casalinga che ha solo un fidanzato non riesco
ad inserirla in un contesto post 1800. quindi apparecchio per quattro.
nel frattempo sono le 20:16. direi che i petti sono pronti.
mi guardo allo specchio perchè c'è da sfatare un mito. che le casalinghe siano trascurate.
Non è così. Parlatene con la mia amica quella con la C maiuscola.
Lei ha fatto di uno status una vera e propria carriera.
Non si mette la tuta. mai. e se capita si trucca anche.
e sorride. e chiacchera amabilmente. non si è ancora mai annoiata.
insomma poi?

poi entra qui un collega. mi parla di lavoro.
riduco ad icona, te credo. come fai a spiegare che stai sognando di essere casalinga?
lui neanche è al secondo livello. probabilmente penserà pure che da grande vuole essere come me...

mi raddrizzo un pò e metto una mano nei capelli. lo sguardo contrito e stanco funziona sempre.
Mi mette un fascicolo sul tavolo. io distrattamente controllo la posta sul computer.
lui con fare timoroso mi dice che andrebbe.
Mi sento una pupù. lui andrebbe mentre io è da 12 minuti che cuocio virtualmente i petti di pollo
in panta comodo.
"certo, vai , ci vediamo domani".
cazzarola. ora gli urlo dietro qualcosa. tipo "oh domani vieni con comodo, quando ti svegli"
che nella mia vita parallela domani devo farmi i bigodini, la mattina approfitto.

secondo me se mi porto le pattine a studio mi concentro di più.

a domani.


scrivanie e femministe. un delirio.

Ci siamo vediamo se scorro veloce. Direi di si.
Rubo minuti alla carcere dorata.  Mi hanno cambiato la scrivania. Questa è come l’ambiente dove lavoro: insollevabile. Di una pesantezza estrema.
Color Marrone. Solida, inattaccabile, tanto alta da farti sentire un nonnulla. Ingombrante, probabilmente anche costosa.
E mentre infesto il mobilio nuovo, ancora quasi da scartare, da cartacce di valore nei contenuti penso alle cazzo di femministe.
Si potevano fare un pacchettino di cavoli loro, no?
nO. Dovevano gridare al mondo che le donne erano inferiori. Io che l’ho sempre saputo mi chiedo per quale cazzo di motivo andarlo a riferire ai cubois.
“yyyyyuuuuuhhhhhuuuuuuuu? Cuboiiiiiiii? Sono quiiiiiii! Sono indiana e sto tanto bene nella riserva…. Mi vieni a catturare e mi schiavizziiiiiii?????”
questa è pura demenza.
Dico, se c’è una cosa che abbiamo in più sono le ovaie e i muscoli meno tesi… facciamole lavorare, ste doti!
No. Le femministe erano brutte. Brutte brutte bruttissime. Scommetto pure pelose. Con le manacce e le tette flaccide.
Con l’acne e l’alitosi. Sennò non si spiega.
Si sono volute vendicare. “l’utero è mio e lo gestisco io”. No, dico, perché prima di dirlo l’uomo aveva mica il telecomando delle tube? No. E allora zitta, stronza bruttona.
Che l’apparato genitale è sotto controllo lo sanno persino i maschietti. Non c’era mica bisogno di mettere i manifesti. E poi cosa c’entra con il lavoro? Ancora non lo so.
E’ evidente che quel gruppetto di sfigate non ce la facevano più, a casa co’ mammà e col corredo nel cassetto e quelle occhiatacce della serie “certo amore se solo ti curassi un po’ di più magari il figlio del cugino della parrucchiera, tanto bravo, ti porterebbe pure a cena fuori… è così ben educato… poi in fin dei conti anche se è zoppo e cieco non è mica un dramma. Milioni di persone si adattano a piccoli handicap… l’amore vince su tutto”.
Eh no. Le sfigatone non hanno fatto un cavolo di sforzo. Niente trucco, niente dieta, musi lunghi e noia. E poi? Poi sono scese in piazza. E hanno iniziato con la solfa che volevano lavorare, che la parità, che l’utero….
Stronze ragane.
Io sto qui a pagare le vostre paturnie. La mattina mi devo vestire da victor victoria (femminile ma devo andare in motorino quindi maschile ma truccata ma con il giaccone pesante con la kelly ma anche la sacca del pc con i tacchi ma non troppo sennò mi si rompe il tallone) ed entrare in una galera tutta d’oro con il tavolo color cacca a portare la pagnotta a casa.
E meno male che non ho figli cani gatti e pesci rossi. Persino le piante mi sono morte.
Non so, il passo successivo è che a casa ci rimane il maschio?
Allora sai che vi dico? Voglio il pisello.
Altrimenti un rogo di femministe. Senza pisello voglio fare il pane fatto in casa, il ricamo a punto croce e stirare. E visto che i tempi corrono voglio anche farmi l’ossigeno in faccia antirughe e yoga a casa della mia amica casalinga.
Datemi il pisello (con tanto di palle e che siano belle grosse) e continuo a fare il maschio che porta a casa da mangiare, che compra ai figli la prima automobile e che a natale vizia tutti.
Vaglielo a spiegare a quella massa di racchie indesiderate cosa cavolo hanno combinato.
Adesso con i rimedi estetici capace che anche loro avrebbero trovato un tordo che se le accattava.
Bruttone senza senso.
Torno ai documenti sulla scrivania gigante, ho finito di rubare momenti alla sacra professione.
Ogni tanto vado in bagno. Se tanto mi dà tanto prima o poi sarò casalinga, oppure farò pipì in piedi

le lande desolate

ero a letto. pigrizia cosmica, il dito continuava a rimandare di 10 minuti in 10 minuti la sveglia.
poi suona la porta. dlin dlon. (ho voluto il campanello dlin dlon. non c'è paragone con gli altri, driiiin, driiiiiin... ti viene quasi voglia di non aprire! ancora prima di vedere la faccia dell'ospite già ti scoccia col suono stridulo. non esiste. Dlin dlon è più cordiale. direi che driiiin sta alla yuta come dlin dlon sta al velluto. tanto per intenderci).
Comunque dicevo, dlin dlon.
"bale, dormi?" (caspita, si. dormo, e sono le 8 e un quarto, lo so. ma dormo).
"mi deto che tu chiama per balcone, che c'è obberai"
(se è vero che ti ho chiamato io sono un genio multitasking: rimandare la sveglia, sognare, lamentarsi per il giorno che viene e anche chiamare con il cordless al piano di sotto).
Mi alzo arruffata, forse anche con un pizzico di alitosi.
perchè devo fare un trasloco. il balcone va svuotato, tutto. perchè me lo demoliscono. Ora non diciamo che è una cosa rara. Quante volte ho sentito "scappo a casa che mi demoliscono il balcone e devo togliere tutto" (Mai, a dire il vero) (ma è anche vero che siamo tutti molto egocentrici, un pò come quando viene la febbre ai maschi: se fosse venuta a noi sarebbe "influenzetta", ma visto che è venuta a loro sono a un passo dalla meningite).
Quindi prima della pipì di prima mattina (quella che elimina le tossine), prima del caffè (quello che le riconsegna all'organismo pare pare), prima delle news su indernette (eh si, adesso invece di leggere e creare cultura in my brains mi scorro le nius partendo da gugol), prima persino della fetta biscottata alla marmellata di more di rovo piene di semi e della sigaretta con effetto cataclisma.... prima di tutto questo insieme abbiamo riempito casa di portavasi luridi e polverosi, buttato le mie piante preferite ormai in fin di vita (non hanno superato l'estate. io d'altronde sono fatalista e darwiniana, se ce la fai bene, se non ce la fai da le roi merlin la prossima volta mi butto sulle piante grasse), cercato di far passare un ventilatore anni 60 azzurro e cromato dalla grata che non si apre più per colpa delle impalcature, sistemato le scope in salotto (che poi è anche cucina, sala da pranzo e boudoir, riempito 6 sacchi di sterpaglia, scatole vuote e stracci luridi).
Beh ora però ho davanti a me una landa. desolata, come quelle dei film uestern (senza doppia vvù). sarà che ora che lo guardo mi pento di non averci mai messo un tavolino, due poltrone, un lettino prendisole. A napoli lo fanno.
Ho richiuso la porta finestra e mi bevo il mio caffè, finalmente, e da fuori sento un uomo che continua ad urlare "buongioooornooooo". E' l'operaio. Non rispondo. sto zitta zitta nel mio tipì. Lo so che vuole. fa finta di essere amico e poi ZAC mi pizzica. e so anche perchè. gli ho regalato 4 piante, gliele ho messe sulla impalcatura.
ahò, come se dice, a caval donato nun se guarda in bocca.

Buona giornata.

lunedì 11 ottobre 2010

il faruest

Siccome il viaggio è lungo, tanto vale sprecare due parole per condividerlo.
Una volta ero ad un convegno. seconda fila, con un paio di colleghi. ero lì semiseria, decisamente annoiata. un relatore disquisisce sul mondo che mi appartiene e poi lo dice.
Lì per lì non potevo crederci. l'ha dovuto ripetere almeno due volte, poi ho capito.
"ricordo quando con mio padre guardavamo i cubois".
ho pensato a un architetto decostruttivista, una corrente filosofica del 1965, al cubo magico e ad un gruppo rock anni 70.
Invece no. parlava proprio dei cubois, quelli del faruest. quelli che hanno trucidato gli indiani pellerossa.
da quel momento l'apoteosi. una risata convulsa. ho appuntato su un foglietto "cuboi", accanto ad una pistola. più mi trattenevo peggio era. la prima fila era già girata a guardarmi.
per trattenere l'intrattenibile ho persino fatto un paio di pseudo pernacchie. 
non c'è orgoglio nè autocontrollo. 
Sono dovuta uscire dalla sala quando persino i relatori hanno fatto un paio di secondi di pausa guardandomi.
Non sono rientrata in sala, perchè mi vergognavo.
Si, mi vergognavo di essere così maledettamente scema, e viva, e colorata, e immatura.
che meraviglia.
E' da allora che penso a questa vita come un film. Noi siamo i cubois. e lo sfondo è il faruest.
e ci sono anche toro seduto, alce nero e i cavalli che galoppano allo stato brado.
datemi il benvenuto nel magico mondo del web.
Tina